Non sposate le mie figlie!: la recensione della commedia francese campione di incassi
La Francia difende la libertà di pensiero attraverso la pochade e i dialoghi brillanti.
Vive la France!
Vive la France dove un matrimonio su quattro è misto.
Vive la France dove un arabo, un ebreo e un cinese che cantano all'unisono La marsigliese non imbarazzano, ma commuovono.
Vive la France che riunisce ogni fascia di pubblico, dalla banlieue fino ai salotti très chic, grazie a commedie oneste che risvegliano un pensiero, sollevano un dubbio.
Vive la France che si stringe a Charlie Hebdo.
Fare del film più visto in Francia nel 2014 un'altra bandiera con su scritto “Je suis Charlie” sarebbe un escamotage troppo comodo e furbo, anche se, perfino decontestualizzandola temporalmente, la commedia di Philippe de Chauveron rimarrebbe un atto d'accusa contro la violazione della libertà di pensiero, qui rappresentata da quelle sacche di intolleranza razziale e religiosa che sopravvivono orgogliosamente nella ricca provincia ai margini della capitale. Ecco allora che arrivano, pronti a combattere una battaglia nella quale non ci sono né bifolchi né parlate regionali strascinate, i gollisti Claude e Marie Verneuil, ben vestiti, ben educati, ben pettinati. Nonostante ogni domenica vadano in chiesa a confessarsi e a cantare gli inni, il destino ha deciso di giocare loro un ennesimo brutto scherzo. Dopo averli sottoposti all'atroce tortura di assistere al doloroso spettacolo di tre figlie maritate a uomini che non si fanno il segno della croce e mangiano chi involtini primavera, chi cibo kosher e chi tutto tranne il maiale, ha ben pensato di far fidanzare l'ultimogenita con un ragazzo di colore.
Se questa premessa, per quanto spiritosa, indica che Non sposate le mie figlie! seguirà una pista già tracciata da altri e navigherà nel mare magnun degli Indovina chi viene a cena? e simili, il pericolo della banalità viene subito sventato da un tripudio scoppiettante di dialoghi in cui si susseguono battute giustamente ciniche e cattive, e osservazioni argute. Non troppo argute però, perché Dany Boon, Kad Merad & Co. ci hanno insegnato che la pochade – con la sua comicità di situazione – non passa mai di moda e che, fra equivoci, fughe e reazioni a catena, un contenuto forte mette più velocemente in movimento i cervelli.
Parliamoci chiaro, negli Stati Uniti una commedia così non l'avrebbe fatta nessuno, perché quei razzismi incrociati che consentono al film di non risparmiare nessuno avrebbero scatenato la mobilitazione di ogni possibile minoranza o categoria. Forse questo timore in qualche modo è arrivato fino alle pagine scritte da Guy Laurent e dallo stesso de Chaveron, che alla fine tendono a risolvere rivalità e dilemmi in nome della buona cucina, di solidarietà nate in situazioni di avventuroso pericolo o in una recitazione che, nel caso dei piagnucolosi e riottosi generi, sfiora il cartoon.
Alle loro smorfiette fa da contrappunto la precisione di Christian Clavier, mago delle reazioni mute e delle facce gravi. Però ci viene un dubbio: non sarà che lo scempio di un doppiaggio italiano che vira verso il birignao e un tono cantilenante alla Orso Yoghi contribuisce non poco al cotè farsesco di alcuni personaggi? Resta fermo, e degno di nota, il gioco di squadra degli undici di Philippe de Chauveron, che come uno scrupoloso allenatore ha assegna a ogni componetene della sua formazione il giusto ruolo.
Chiudiamo con un rammarico: un film come Non sposate le mie figlie! non si sarebbe potuto fare nemmeno in Italia - o forse sì, ma solo se al posto di Rachid, David, Chao Ling e Charles un regista un po' buonista avesse messo un romano, un napoletano, un brianzolo e un siciliano, interpretati dai soliti volti noti impegnati in ardite prodezze dialettali.
Per molti di noi, ahimè, chi ha la pelle nera è arrivato con il gommone e chi viene dal Marocco o dalla Siria nasconde, sotto i vestiti, una cintura di tritolo.
Vive la France!
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali