Non odiare: la recensione del film
Presentato alla Settimana della Critica nel corso del Festival di Venezia 2020, l'opera prima di Mauro Mancini parla di temi tosti e attuali, e lo fa con toni misurati e rigorosi, scartando la retorica e scegliendo le strade del dubbio e del silenzio.
Un uomo sta pagaiando lungo un fiume quando, dall'argine, sente il fragore cacofonico di un incidente automobilistico. Arriva sul posto, trova un uomo gravemente ferito e chiama immediatamente un'ambulanza, qualificandosi come medico. Quando torna a rivolgere la sua attenzione alla vittima, scopre che porta tatuata sul petto una svastica; di fronte alla quale sceglie di non bloccare una grave emorragia e di lasciar morire quello che è chiaramente un nazista.
L'uomo che fa tutto questo di cognome fa Segre (ma questo spiega solo parte del suo choc di fronte al simbolo nazista), ha il volto affilato e affascinante di Alessandro Gassmann; i cui occhi e il cui sguardo sembrano sempre più quelli di papà Vittorio, e che per tutto il film racconterà silenziosamente il peso del senso di colpa che il suo personaggio sente per quell'omissione di soccorso.
Un senso di colpa che porterà Segre ad assumere come colf la figlia dell'uomo che non ha salvato (Sara Serraiocco), entrando così in contatto - e in conflitto - anche con un figlio adolescente che è un convinto e rabbioso naziskin (Luka Zunic).
Un assunto di questo genere potrebbe legittimamente far scattare in molti un allarme interiore; una preoccupazione per un possibile eccesso di retorica e di luoghi comuni. E fa piacere poter notare come invece Non odiare sia un film capace di fare, quasi sempre, le scelte giuste: quelle non scontate, quelle meno ovvie e "giornalistiche" e soprattutto di tenere per tutta la sua durata un tono narrativo sobrio e rigoroso, senza troppi fronzoli inutili, facendo implodere il film nei silenzi e nelle azioni, relegando la parola a un ruolo marginale e scartando buona parte delle trappole che una storia come questa presentava.
Quello di Mauro Mancini (anche sceneggiatore assieme a Davide Lisino) è un film tutto giocato su toni sommessi e su una distanza narrativa calibrata per garantire un saldo equilibrio tra una sorta di gelo esistenziale che avvolge i protagonisti e la giusta dose di emotività che serve per far progredire la storia, e coinvolgere lo spettatore.
Alessandro Gassmann, Sara Serraiocco e il giovane Luka Zunic trovano anche loro la giusta misura nella recitazione e nelle loro interaziono, contribuendo alla compostezza di un dramma umano che solleva interrogativi importanti e fornisce risposte sfumate e aperte dal punto di vista umano ed esistenziale, ma di chiara rilevanza in questi tempi complessi e violenti che andiamo vivendo.
I dilemmi morali messi sul piatto da Mancini non solo solo quelli più evidenti, ma riguardano in ogni caso la necessità di spezzare catene di odio e risentimento, di contrapposizioni cieche e ideologiche attraverso la difficile pratica del perdono e della tolleranza, non ultime quelle verso noi stessi.
Se una questione letteralmente di sangue che riguarda i personaggi di Gassmann e Zunic è quella più scontata del film, e forse poteva essere evitata, le traiettorie del triangolo formato dai protagonisti di questa storia scartano spesso gli ostacoli della banalità, e Mancini ha il buon senso di chiudere il suo Non odiare in maniera aperta, facendo esplodere i tre vertici narrativi della sua storia verso destini individuali, mettendo ognuno di fronte ai propri fantasmi e, al tempo stesso, alla possibilità di un futuro diverso.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival