Non cadrà più la neve: recensione del film polacco di Malgorzata Szumowska in concorso al Festival di Venezia 2020
Un racconto di una comunità inebetita e annoiata dal benessere, in cui l'arrivo di un massaggiatore immigrato non dà solo sollievo fisico, ma diventa quasi un santone mistico nel laccato Non cadrà più la neve di Malgorzata Szumowska, visto a Venezia 77.
Pronti a prendersela con un diverso, o omologati dalla noia del benessere ai limiti del caricaturale. Sia quel che sia, le persone che circondano i protagonisti dei film della polacca Malgorzata Szumowska non denotano certo una sua grande fiducia nella società del suo paese, o in generale di questo XXI secolo. Potremmo dire che sono quasi tutti i personaggi che mette in scena a non andarle particolarmente a genio. Se in Un’altra vita erano feroci ignoranti pronti a scaricare le loro frustrazioni nei confronti del primo malcapitato, in Non cadrà più la neve sono un gruppo di benestanti e lobotomizzate casalinghe annoiate dalla vita ad avere bisogno dell’irruzione nei loro pomeriggi tutti uguali di un nuovo miracoloso massaggiatore immigrato ucraino, per subire una scossa vitale di proporzioni inusitate. Ancora una volta il fisico, le apparenze e come queste influenzano la propria vita e gli sguardi degli altri sono all centro di una storia della Szumowska, raccontata con il consueto sguardo patinato, esibito e non privo di ironia.
La comunità, regolata e chiusa in quanto a mentalità, in Non cadrà più la neve diventa proprio una zona recintata e controllata dalla sicurezza e abitata da privilegiati. Questa volta l’arrivo di uno straniero rappresenta un elemento positivo. Zhenia è il nome di questo misterioso massaggiatore che sembra trovare la formula magica, non solo per massaggiare al meglio le apatiche ricche incapaci di un sorriso, rattristate dalla vita, seppur dorata. Il suo lavoro assume addirittura contorni mistici, scariche di energia per l’interiorità che lo rendono una specie di santone, un guru dell’anima ancora più che del corpo.
La figura di Zhenia, che si aggira trascinando il letto del mestiere diventa l’immagine di una specie di Babbo Natale pronto a portare in regalo il benessere alla popolazione. Ci sarebbe anche di mezzo la questione permesso di soggiorno, visto che questo alieno è un immigrato, tema che sembra interessare alla regista, fra una visita e l’altra dai clienti.
Difficile definire un film come Non cadrà più la neve, al di là di un esercizio di stile visivo privo di ogni forma di empatia, soprattutto verso lo spettatore. Anche perché la denuncia dello sconvolgimento delle nostre vite, con lavori in corso e enormi gru che si intravedono ovunque, sembrerebbe un po’ buttato lì, se non fuori tempo massimo, così come l’est che cerca di ripercorrere lo sviluppo (e quindi gli errori?) dell’ovest. I soldi portano noia, sembra dirci con qualunquisticamente l’autrice, avvicinandosi con il titolo, “non cadrà più la neve”, e con gli inverni non freddi come una volta, all’adagio valido da sempre che “non ci sono più le mezze stagioni”. Non solo, si stava meglio quando al posto del ricco quartiere recintato c’era un campo di cavoli, puzza a parte, e magari il segreto di Zhenia è il suo accento russo, che rievoca il rimpianto di quando c’era il comunismo.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito