Nina e il segreto del riccio, la recensione del film animato di Felicioli & Gagnol
Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol, stimati autori francesi di animazione con Un gatto a Parigi e Phantom Boy, tornano con Nina e il segreto del riccio, che ne conferma la pacata ed elegante attenzione al dettaglio, insieme a una contagiosa voglia di raccontare. La nostra recensione.
Nina cresce con le storie su un riccio immaginario, raccontate dal papà, finché il genitore non si rabbuia, licenziato dalla sua fabbrica. Nina allora, in compagnia dell'amico inseparabile Mehdi, decide di aiutarlo: ha sentito che il precedente infido direttore avrebbe nascosto nella stessa fabbrica dei soldi rubati all'azienda. Sfidando il guardiano rimasto col suo cane, spronata dal riccio resiliente che vede ogni tanto accanto a sé, Nina trascinerà Mehdi in una pericolosa avventura.
Rivelatisi nel 2010 col bellissimo Un gatto a Parigi, i registi Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol, ideatore grafico e sceneggiatore, rimangono sostenitori del racconto nella sua forma più pura e coinvolgente: non lontano dagli stereotipi, ma in grado di metterli in scena con freschezza sufficiente, rimescolandoli in dinamiche personali e soffermandosi in montaggio e regia dove anche i luoghi comuni possono racchiudere una verità. Confermano le loro grandi capacità in Nina e il segreto del riccio, che ancora una volta mette la poesia dell'età giovanile al confronto con un mondo degli adulti che ogni tanto deve perderla. E ancora una volta assegna a una figura animale il ruolo di una bussola verso una nuova speranza. Torna anche l'eco di un equilibrio familiare che deve passare attraverso questo volo fantastico per riassestarsi: qui il babbo, scosso dal licenziamento, dismette le richieste di nuove storie, sostenendo che ormai Nina "sia troppo grande", per poi pentirsi dell'avventata frase.
Sì, perché è solo l'arte, rappresentata dalla resistenza caparbia del riccio, a dare un senso a un mondo concreto che da solo non può garantirla: e chi meglio degli animali conosce quest'estraneità alle umane miserie? Basti vedere che fine facciano i soldi per capire come Felicioli e Gagnol si pongono sulla questione. Solo l'infanzia, in questo caso a cavallo dell'adolescenza, può avere ancora il coraggio di attivare una mente creativa, guardando al reale con altri occhi. Al rapporto di Nina con i genitori e all'amico-aspirante innamorato Mehdi, in un'ora e quindici minuti i registi dedicano un tempo sufficiente: sviscerano sentimenti, speranze e battaglie. È una base molto solida sulla quale costruire una suspense effettiva, che non si risparmia montaggi paralleli e musica incalzante (di Serge Besset), quando il duetto tenta l'impresa, compiendo un passo più grande di loro. Si fa il tifo per l'eroina e il suo scudiero, in questa effrazione in una fabbrica dismessa, attorniata da una natura che esplode di dettagli nei ricchi fondali.
Dal nostro punto di vista, Nina e il segreto del riccio è una fiaba granitica nel dosaggio dei suoi ingredienti e in alcune trovate di regia (la scena del bacio col suo commento musicale è perfetta), però è frenata da un look dei personaggi non molto empatico. Parla la nostra soggettività, ma se gli animali sono concepiti da Felicioli con un traddo indovinato e dolce, gli esseri umani sono più rigidi delle belle forme alla Modigliani di Un gatto a Parigi: specialmente nelle inquadrature frontali, presentano una stilizzazione aspra che frena l'immedesimazione che sceneggiatura e regia garantirebbero a mani basse. Apprezzabile comunque l'inchino all'animazione degli anni Venti e Trenta tra Fleischer e Disney prima maniera, nel simpatico riccio stilizzato, generato dall'immaginazione di figlia e papà.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"