N-Capace - la recensione dell'opera prima di Eleonora Danco
Un viaggio nei ricordi della regista romana.
C’è un immagine che caratterizza N-Capace, opera prima cinematografica dell’autrice teatrale romana Eleonora Danco: quella in cui lei stessa, sempre presente nel film, si aggira fra la Roma delle periferie e la natìa Terracina con un pigiama e un letto, al massimo con una piccozza. La vuole utilizzare per cancellare il tempo, sotto forma della stratificazione di modifiche urbanistiche o paesaggistiche che gli anni trascorsi dalla sua infanzia hanno inevitabilmente fatto sedimentare. Ora quella piccozza l’ha usata anche per liberarsi dalle pareti di un teatro e dare libero sfogo al proprio flusso di (in)coscienza in un set cinematografico, pur particolare.
N-Capace, presentato e pemiato al Torino Film Festival, è un documentario, seppur con inserti di surreale finzione, creato prendendo spunto dallo stile caratteristico degli spettacoli teatrali della Danco. Momenti in cui si mescolano i generi: dal comico al drammatico, da inserti con voce fuori campo sul filo della ricerca poetica al dialetto di molti intervistati.
La protagonista, la stessa regista, cerca di far pace con i suoi ricordi: il rapporto con la madre morta, i luoghi della sua infanzia. Lo fa intervistando il padre, con dialoghi anche brutali, non conciliati, insieme a molti anziani del paese. Volti, domande, impertinenze, che permettono di scavare nella coscienza di un paese e del Paese. Sesso, amore, morte, ignoranza, recriminazioni; c’è di tutto in N-Capace, così come nel nostalgico flusso di ricordi degli anziani di Terracina e Roma. Insieme a loro la Danco incontra molti giovani, che molte delle emozioni dei loro nonni ideali le devono ancora provare, le guardano con preoccupazione o un po’ d’ingenuità.
Un lavoro rinfrescante, originale, personale, talvolta ai limiti dello stucchevole narcisismo negli inserti con l'autrice in primo piano, ma che nella scelta di storie e volti risulta divertente. Una carrellata di persone che nella vita si sono buttate o hanno avuto paura. Un inno giocoso e malinconico all’espressione libera della propria individualità. Se la regista parla con una certa presunzione di Buñuel, Giotto o De Chirico come fonti d’ispirazione a noi sembra che, cinematograficamente parlando, ci siano richiami evidenti al primo Moretti. Qui, invece che nella nutella, la Danco si getta in una vasca colma di biscotti.
Un valore aggiunto sono le convincenti musiche elettroniche di Markus Acher.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito