Mother's Baby: la recensione del dramma horror in concorso alla Berlinale
Una donna rimane incinta e sembra presto sospettare che il figlio abbia qualcosa che non va. Un tema classico del cinema di genere declinato fra dramma e derive horror inverosimili nel film Mother's Baby dell'austriaca Johanna Moder. La recensione di Mauro Donzelli.
La maternità, di questi tempi, sempre più spesso al cinema è raccontata per le sue difficoltà, per come incide sulla vita quotidiana e talvolta sulla salute, ovviamente soprattutto della madre. Della depressione post-partum mai se n'è parlato così tanto come recentemente, al punto da creare un filone che sembra orientato a decostruire l'immagine del parto come un evento strarrdinariamente felice, senza controindicazioni. Appare inserirsi in questa scia, fin dal titolo, Mother's Baby, ambientato nella Vienna contemporanea e diretto da Johanna Moder. È la madre, Julia, una direttrice d’orchestra di successo, (quale mestiere altrimenti in una città come la capitale austriaca) a essere la protagonista di questo film che risulta sempre in bilico, ma non in equilibrio, fra spaccato sociale e il montare improvviso e scostante di sterzate di genere. Non vorrei dire horror alla Rosemary’s Baby, ma temo che la volontà sia di quel tipo.
Per alimentare un inizio in cerca di riverberi sociali d’attualità, la coppia, arrivata ai 40 anni, è costretta ad affidarsi a una clinica per la fecondazione assistita, salvo perdere l’occasione di affrontare con costrutto una dinamica che coinvolge molte persone e meriterebbe ben più che il ruolo di parentesi da additivo di sapidità. La clinica è sospetta fin da subito, arroccata in un’elegante edificio in collina con vista sulla città, con un mellifluo e posticciamente sospetto medico a dirigerla, il dottor Vilfort. Subito al primo colloquio promette speranza di gravidanza immediata, grazie a una procedura sperimentale, alimentando le speranze della coppia.
E qui bisogna fare una premessa sul senso generale, per Julia e il marito Georg, di speranza o di gioia che la loro vita di coppia e di genitori presenta il film. Definirli anaffettivi è dir poco, sorrisi o minimo entusiasmo sono assenti come il senso del ridicolo in questo Mother’s Baby. Le interpretazioni dei protagonisti, poi, Marie Leuenberger e Hans Löw, sono a dir poco monocordi. Al massimo spunta qualche lacrima per aggiungere drammaticità, ma neanche troppo. È tutto molto algido e sterile, probabilmente proprio per alimentare la deriva scientifica e horror che sembra sempre sul punto di esplodere. Ma poi, quando arriva è oltre il deludente, è un pastrocchio senza decenza contenitiva.
Comunque il bambino arriva, anche se appena nasce viene portato via con urgenza a causa di complicazioni ritenute standard, come “il cordone ombelicale che ha reso difficile la respirazione”. I due restano per molte ore all’oscuro di cosa stia accadendo, nonostante le rassicurazioni di questo luogo che avrebbe fatto la gioia del dottor Mengele e della pattuglia di eugenetici. Il bambino viene portato finalmente ai genitori, tutto sembra andare normalmente. Ma qualcosa non torna, il bambino è ancora più freddo e disumano dei genitori, il che è tutto dire. Paranoia? Depressione post-partum (che ricordiamo, è una cosa seria)? Forse semplicemente un mediocre film che cerca di imboccare senza troppa convizione la via dell’horror, non mettendo mai le marce alte, anzi rimanendo proprio fermo allo stop. Quando poi per esaurimento parte, fa spegnere il motore della pazienza e dell’interesse dello spettatore.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito