Mio papà - la recensione del film con Giorgio Pasotti e Donatella Finocchiaro
Un film drammatico diretto da Giulio Base.
L’amore non si può prevedere. È più facile che arrivi proprio quando non lo si vuole, quando si preferisce continuare a collezionare una donna dopo l’altra, rapporti da una notte, con la sensazione di preferire così. Quante volte abbiamo visto raccontata la conversione, più o meno probabile o moralista, di uno sciupafemmine alle prese con una donna che gli cambia la vita, che lo addomestica facendogli provare un’insospettata passione non solo per lei, ma anche per una vita regolare?
Aggiungiamo all’elenco anche Mio papà, nuovo film di Giulio Base, da anni più impegnato in televisione che al cinema, alle prese con il percorso di redenzione di Lorenzo, uomo libero che si sente veramente a suo agio solo quando si immerge da una piattaforma poco al largo della costa adriatica. Il suo lavoro è infatti quello di subacqueo e la sua vita è fra le onde. Quando si affaccia sulla terraferma è solo per dormire e divertirsi, meglio se non in quest’ordine.
Una sera incontra Claudia, con cui non si instaura solo una passione fisica, ma anche un rapporto, inizialmente faticoso e poi sempre più simbiotico, con il figlio di sei anni, Matteo. Un rapporto, insomma, fra padre e figlio, pur non configurandosi come tale dal punto di vista biologico. Ecco la conversione di un solitario Don Giovanni a ligio family man, con qualche prevedibile ostacolo e un’improbabile retromarcia inserita per condire la storia senza particolare credibilità narrativa.
Base racconta come l’idea di questo film gli sia venuta parlando con Giorgio Pasotti, con cui condivide dei figli non naturali ormai integrati nelle rispettive famiglie.
Proprio l’assenza di diritti legali in Italia per i patrigni è il tema forte di Mio papà, che parte da sincere intenzioni e le mostra quasi subito, giocando talmente a carte scoperte da sembrare più un percorso di avvicinamento che una storia avvincente. Il bambino è interpretato dal piccolo Niccolò Calvagna, così professionale nella sua recitazione, specie nelle reazioni più sopra le righe, da apparire un attore fatto e finito. Peccato che si perda il valore aggiunto, in termini di purezza e ingenuità, che un bambino al cinema porta normalmente con sé.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito