Michael Kohlhaas - la recensione del film di Arnaud Des Pallières

24 maggio 2013
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Tratto da un omonimo romanzo tedesco di Heinrich von Kleist, a sua volta ispirato da una vicenda realmente accaduta, il Michael Kohlhaas di Arnaud des Pallières è un film piuttosto insolito per gli standard del drammoni in costume prodotti in Francia come altrove.

Michael Kohlhaas - la recensione del film di Arnaud Des Pallières

Tratto da un omonimo romanzo tedesco di Heinrich von Kleist, a sua volta ispirato da una vicenda realmente accaduta, il Michael Kohlhaas di Arnaud des Pallières è un film piuttosto insolito per gli standard del drammoni in costume prodotti in Francia come altrove.
La storia di un mercante di cavalli che cerca non vendetta ma giustizia per i torti subiti da un nobilastro e per la morte della moglie, prima attraverso l’insurrezione, poi appellandosi ai tribunali e le autorità competenti, viene infatti messa in scena dal francese con uno stile estremamente moderno e nervoso, fatto di camere a mano, primi piani, dettagli, un uso irrequieto del montaggio.

È questo, quello formale, l’aspetto principale di un film che non mira comunque né a soprendere né a rivoluzionare ma la cui unica vera ambizione è quella di raccontare una storia confezionandola nel miglior modo possibile.
Indubbiamente des Pallières sa usare bene la macchina da presa, ha occhio e gusto, trova un ottimo punto d’equilibrio con la direttrice della fotografia Jeanne Lapoirie per donare al suo film eleganza senza mai cadere nella patinatura.
In questo contesto, alcune delle scene che Michael Kohlhaas regala, specialmente quelle che vedono il protagonista Mads Mikkelsen in momenti intimi con la sua famiglia, sono decisamente riuscite, perfino a dispetto del costante e fastidioso abuso di una colonna sonora che debora violoncelli, timpani e sonorità celtiche.

Definibile come un legal-melò in costume, nel quale l’assunto sembra quello dell’inconciliabilità tra garantismo e anarco-insurrezionalismo, Michael Kohlhaas non è però un film capace di suscitare grandi interessi o grandi entusiasmi nello spettatore. Nemmeno in un finale tragico che con malizia si potrebbe dire ammiccare con minimalismo a quello di Braveheart nel quale il Michael di Mikkelsen vede la giustizia che ha lungo richiesto fare il suo corso, in un senso come in un altro.




  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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