Max Steel: la recensione del film tratto dal giocattolo Mattel
Un adattamento che ha lo stesso meccanismo di un cinecomic.
Max McGrath si trasferisce con sua madre Molly nel paese in cui era nato e in cui suo padre è morto. Stava lavorando a un progetto scientifico misterioso, misterioso quanto i poteri incredibili che il liceale Max sembra avere: emette scariche di energia. La comparsa di un alieno robot, Steel, che si dichiara sua guardia del corpo e completamento naturale, non fa che confondere ancora di più le idee del nostro eroe. Il segreto è nel passato e nell'identità di papà...
Max Steel è una linea di action figure Mattel, commercializzate a partire dal 1999, già trasposte sotto forma di serie tv animata nel 2000-2002 e in tempi recenti, con un'altra serie che ha funzionato da reboot. Questo lungometraggio dal vero invece si è trascinato per anni in fase di preproduzione, quando si pensava che sarebbe stato Taylor "Jakob" Lautner a interpretare Max, prima che rinunciasse e a lui subentrasse l'attuale protagonista, il ventiduenne Ben Winchell, con esperienza televisiva.
Scritto da Christopher Yost, specialista di supereroi in serie tv Marvel e DC, questo Max Steel è a tutti gli effetti un cinecomic a medio budget, anche se la sua provenienza non è rigorosamente fumettistica. Il 100% di quello che accade è prevedibile da chiunque bazzichi questo sottogenere, nè lo stile di regia di Stewart Hendler o il copione fanno alcunché per trovare angolazioni fresche o spunti nuovi. Max Steel è una produzione corretta, con effetti visivi corretti, con attori corretti (i comprimari sono Maria Bello nel ruolo della mamma e Andy Garcia in quello di un vecchio amico di famiglia). Il problema è che nell'attuale inondazione di prodotti di questo tipo, il "corretto" non è più sufficiente a smuovere l'interesse delle masse: potrebbe farlo il fattore nostalgia, ma in questo caso il giocattolo su cui si basa non proviene dai mitologici anni Ottanta, e bisogna verificare quanto i sedicenni condividano con i quarantenni la nostalgia disperata (ci auguriamo non lo facciano: sarebbe inquietante).
Max Steel ha se non altro l'onestà di non promettere saghe interminabili di cui si supponga la visione di ogni capitolo: di questi tempi, un film per un target così preciso (fine scuola media – inizio superiori) che si presenti così relativamente autoconclusivo è abbastanza raro, e di questo ringraziamo se non altro la produzione. I figli che rientrino nella fascia d'età indicata si divertiranno, posto che non abbiano già in curriculum la visione di troppe opere dello stesso tipo.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"