Martyrs - recensione del film horror del francese Pascal Laugier

10 giugno 2009
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Opera seconda di Pascal Laugier, regista francese da sempre appassionato dell’horror realistico degli anni Settanta, Martyrs è un film duro, cupo, che parla del buio profondo dell’anima e della sofferenza degli esseri umani: un’esperienza che lascia il segno, e che la censura ha – per una volta con valide motivazioni – destinata a un p...

Martyrs - recensione del film horror del francese Pascal Laugier

Martyrs - la recensione

Una ragazzina con segni di brutali violenze sul corpo corre sanguinante per strada. Il luogo in cui è stata rinchiusa viene scoperto, ma rimane il mistero su chi le abbia fatto del male e perché. Rinchiusa in istituto, la piccola, Lucie, perseguitata da orribili visioni, si attacca alla coetanea Anne, che le vuole bene e si prende cura di lei. 15 anni dopo, una ragazza si presenta armata di fucile alla porta di una tranquilla casa borghese e compie una strage efferata, sterminando la famiglia che vi abita. E’ Lucie, che finirà per soccombere ai suoi demoni, e sarà Anne, accorsa in suo aiuto, a diventare protagonista del suo incubo e vittima predestinata, e a prendersi un’estrema vendetta sui suoi carnefici.

Ci sono film che sono necessari per il loro autore, che sente il bisogno di esprimere sensazioni e sentimenti per lui imprescindibili e per farlo non si pone altri problemi che non siano quelli di dare vita ai suoi fantasmi nella forma che considera al momento la migliore. Ecco perché, dopo il film di debutto Saint Ange, una ghost story abbastanza classica per quanto cupa e ossessiva, Pascal Laugier è tornato con Martyrs, un film che scava, letteralmente, nelle radici del dolore e che racconta una storia di sofferenza nata da un momento particolare del suo vissuto. E lo fa con una forza visiva e una crudeltà filosofica tali da lasciare a disagio, confuso e sofferente durante la visione, anche lo spettatore più abituato alla deriva cruenta del cinema dell’orrore. Riprendendo la lezione di chi lo ha a suo dire formato - William Friedkin, Lucio Fulci, Mario Bava e Dario Argento - Laugier non strizza l’occhio allo spettatore, non ne cerca la complicità, non ironizza sulla materia che mette in scena con mortale coerenza e necessità.

Partendo dal significato etimologico della parola martire (testimone), l’autore racconta una storia che si chiarisce man mano che procede, e divide la narrazione filmica in tre sezioni distinte, separate tra loro anche stilisticamente. A un prologo inquietante e quasi documentaristico segue un inizio frenetico e letteralmente grondante angue, che descrive con un realismo quasi insostenibile una scena del crimine brutale e non televisiva, per poi virare in una terza parte parzialmente esplicativa, prima del martirio e della “sorpresa” finale (anche se lo spettatore ha sufficienti indizi per trarre le sue conclusioni, non si tratta in ogni caso di un whodunit e non interessa la riposta al “perché”).

Al di là del disagio dato da un film che rappresenta senza compiacimenti ma senza distogliere gli occhi la tortura fisica non - a differenza dei cosiddetti torture porn - come un sadico esercizio di bassa macelleria exploitation ma come una tecnica clinica e moderna studiata sull’anatomia umana (Guantanamo docet) e tesa ad ottenere un fine “superiore”, Martyrs pone allo spettatore molte interessanti questioni che trascendono il cinema di genere. E’ indubbio ad esempio che la nostra società si alimenti in modo costante di vittime sacrificali, tenute per lo più nascoste nei sotterranei della sua apparente e civile domesticità, dove noi non le vediamo nel loro martirio quotidiano e dunque possiamo fingere che non esistano.  In questo senso Martyrs è tanto un film dedicato al rimosso (del corpo e del dolore) quanto una riflessione sulla situazione femminile in questo momento storico. E c’è davvero differenza tra martire e vittima in un mondo in cui i ricchi restano impuniti qualunque cosa facciano, e sono convinti di potersi comprare anche la chiave dell’aldilà?

Martyrs rifiuta gli stereotipi del genere, le facili soluzioni tecniche e narrative a cui il cinema serale americano ci ha purtroppo abituato, e nel suo livido orrore ci incide nella carne una serie di sgradevoli verità. Consapevole delle reazioni estreme e di segno opposto che il suo film provoca in chi lo vede (chi scrive ad esempio, nonostante l’abitudine ai film dell’orrore, ha dovuto in alcuni momenti costringersi a guardare), Laugier prosegue con implacabile coerenza nel suo assunto di base, costringendoci a toglierci di dosso, strato dopo doloroso strato, la pelle che ci protegge e che pensavamo più coriacea. Come Anne, perdendo i nostri strati più superficiali e osservando i nostri nervi messi a nudo, arriviamo a una consapevolezza di noi che il cinema contemporaneo non sempre è in grado di offrirci.

Sarà per questo che alla fine, nonostante le difficoltà che possiamo avere incontrato e il disagio profondo che ci ha trasmesso, apprezziamo moltissimo la verità e l’onestà di un film come Martyrs e a distanza di tempo dalla visione ancora continuiamo a ripensarci. Pochissimi film, di questi tempi, sono in grado di farci questo (per fortuna?).



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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