Making of: la recensione della commedia umana di Cédric Khan sull'intreccio tra cinema e vita

23 settembre 2024
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Si intrecciano diversi piani di lettura in Making of di Cedric Khan, una commedia ambientata sul set di un film politico. La recensione di Daniela Catelli.

Making of: la recensione della commedia umana di Cédric Khan sull'intreccio tra cinema e vita

Un film, per lo spettatore che lo vede in sala, è un’opera di illusione, che appare davanti a lui quasi per magia, ma il processo di realizzazione di quello che al cinema ci fa sognare, entusiasmare (o anche annoiare o arrabbiare) è faticoso, lungo e spesso disseminato di difficoltà materiali e psicologiche. Ovviamente quando pensiamo ai film che ci raccontano la fase delle riprese sul set, il pensiero va subito a Effetto Notte, imprescindibile riferimento per il cinema sul cinema. Ma Cédric Khan, con Making of, guarda anche – dichiaratamente - ai film di Nanni Moretti, mettendo al centro di questo suo lavoro c’è un storia politica, che parla (non in musica) di operai in rivolta, occupazione di una fabbrica e un tentativo di autogestione. Un cinema politico che oggi trova ancora più difficoltà a trovare finanziamenti, perché l’happy ending ormai è richiesto dai finanziatori, perché il pubblico se lo aspetta e i film del cosiddetto impegno civile non sono immuni dal clima in cui viviamo, per quanto duro e puro possa essere l’autore. Cédric Khan ha iniziato il mestiere dalla gavetta, facendo lo stagista sul set di film altrui ed ha accumulato abbastanza esperienza in tutti i reparti da poter raccontare una commedia umana nel microcosmo del set, in cui tutti i rapporti, i problemi, le tensioni, sono amplificati e la tensione rischia di esplodere ai primi problemi economici. Perché, per quanto si sia animati dalle migliori intenzioni, perfino rivoluzionarie, a differenza di altre opere dell’ingegno umano, per fare un film ci vogliono i soldi, e parecchi. L’ideale, insomma, deve fare sempre i conti col reale, o meglio col capitale.

Nel film di Khan lo stagista (il famoso schiavo di Boris, vero appassionato e dunque disposto a farsi maltrattare gratis come l'ultima delle reclute), dopo aver avvicinato il regista, Simon, portandogli una sua sceneggiatura, viene improvvisamente promosso a realizzatore del dietro le quinte del film, quando questi decide, senza per altro conoscerlo, che il giovane operatore che era incaricato del compito e che è una volta è apparso in campo rovinando la ripresa, è un imbecille raccomandato. Il primo giorno di riprese, con una scena di massa complicata da realizzare, viene fuori che gli investitori hanno letto e approvato un altro finale, all’insaputa del regista, che non vuol cedere su questo punto, e dunque si ritirano, mentre il produttore promette di trovare altri finanziamenti mentre la lavorazione faticosamente continua. Joseph (Stefan Crepon), il giovane promosso a operatore, lascia il lavoro alla pizzeria di famiglia per dedicarsi totalmente alla sua passione e non si limita a realizzare un making of, intervistando i responsabili dei vari reparti e mostrando i vari ciak, ma racconta la storia della crisi e della solitudine del regista, pur in mezzo a tanta gente. Le riprese nella fabbrica procedono, nell’incertezza totale, anche se il protagonismo del primo attore (volendo proseguire col paragone borisiano, uno Stanis La Rochelle più dotato) lo mette in conflitto con gli “operai” e gli altri membri della troupe, rispecchiando quello che succede nella storia di finzione. E ci sono gli amori che nascono, le delusioni, le liti e la tentazione di Simon di mollare tutto, perché la droga che è il cinema, una vera e propria malattia, può portare anche alla morte.

Khan gestisce egregiamente il gioco di incastri di una tragicommedia in cui la distinzione tra il reale e la sua riscrittura si intrecciano continuamente. Perché la vita è cinema e per alcuni il cinema è vita. Straordinariamente affiatati tutti gli attori, a partire da Denis Podalydès nel ruolo di Simon e da Xavier Beauvois in quello del produttore pasticcione. Khan si circonda di amici e colleghi registi, da Valerie Donzelli a Emmanuelle Bercot, Thomas Silberstein e il citato Beauvois, cui affida ruoli da attori, in un gioco delle parti che aggiunge divertimento al film, soprattutto per chi li conosce in altre vesti. Alla fine, sembra dirci Making of, tutti sono importanti per la riuscita di un film, e a prescindere dal numero dei caduti in battaglia, vale sempre la pena di continuare a combattere, perché del cinema non si può proprio fare a meno.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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