Madre: la recensione del film di Bong Joon-Ho
Habitué del Festival di Cannes, il coreano Bong Joon-Ho racconta con Madre una storia “gialla” che, come il regista ci ha abituato con i suoi film precedenti, va a scandagliare lati evidenti e nascosti dell’animo umano.
Proprio come Memories of a Murder, del quale mutua molti aspetti della struttura, il nuovo film di Bong Joon-Ho, Mother, è tutto incentrato sui dei tentativi di ricostruzione di un omicidio. In questo caso siamo in una piccola cittadina coreana dove un giovane ragazzo, considerato “lo scemo del villaggio” per via di alcuni problemi mentali, viene accusato di aver brutalmente ucciso un’adolescente. Ma la madre del ragazzo, che ha con lui un rapporto fortissimo, si rifiuta di credere che il colpevole possa essere lui, e inizia ad indagare autonomamente dalla polizia sulla vicenda, dapprima da sola e poi supportata da un amico del figlio che aveva sempre considerato un teppista.
Già con i suoi film precedenti Bong ci aveva dimostrato come, nel suo cinema, gli spunti legati al genere siano solo delle linee guida intorno alle quali intessere una fitta ragnatela di spunti e di rapporti, e che il suo unico vero intento è quello di scandagliare, analizzare e raccontare i lati più intensi e spesso nascosti dell’animo umano. E alternando con agilità registri diversi, che spaziano dalla commedia al dramma, passando per il thriller e il giallo, Mother ci racconta un’indagine che non è solo quella della protagonista riguardante l’omicidio al centro del film, ma soprattutto quella interiore riguardante le pieghe, le luci e ombre del suo rapporto con il figlio e con la maternità. Ma non è solo la psicologia della protagonista, ad essere presa in esame: il regista è capace con pochissimi tratti di tratteggiate i suoi personaggi principali in maniera attenta e mai superficiale, rendendoli ulteriori oggetti d’analisi di sentimenti e relazioni.
E, proprio come fatto dal connazionale Park Chan-wook con Thirst, anche Bong decide di affrontare temi moralmente ingombranti, come la natura ambigua dell’amore e l’etica e il significato dei gesti “altruistici”. Ma non c’è presunzione né pedanteria, in Mother, che non esplicita platealmente e si limita a suggerire, e si concede un finale di dolorosa ambiguità. Un finale che non casualmente sembra indicare una circolarità inevitabile ed inquietante con il suo riallacciarsi alle primissime immagini del film.
Per quanto però siano possibili le consuete annotazioni positive sulla fluidità e l’inventiva spesso sorprendente della regia di Bong, va annotato anche che Mother risulta meno ritmato e un po’ più legnoso nel suo svolgimento rispetto a Memories of a Murder o The Host, e questo arriva ad inficiare l’efficacia delle esplorazioni psicologiche del film. Ma, forse, sono solo dettagli.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival