Madame Clicquot, la recensione del film biografico con Haley Bennett
La storia vera della giovane donna che, sfidando la società patriarcale d'inizio Ottocento e il codice napoleonico, ha preso in mano un'azienda vinicola e creato uno degli champagne più celebri di sempre. La recensione di Madame Cliquot di Federico Gironi.
Se lo champagne Veuve Clicquot - il secondo più venduto al mondo dopo Moët & Chandon, teniamo a mente - si chiama così, è perché alla morte di François Clicquot, figlio del fondatore Philippe, l’azienda fu presa in mano da sua moglie: Barbe-Nicole Ponsardin.
Barbe-Nicole, appena 27enne, si trovò a lottare da sola, donna all’alba del XIX secolo, per ottenere mantenere il controllo di quest'azienda, che i furbi rivali e vicini di vigna, i Moët di cui sopra, avrebbero voluto rilevare, con l’iniziale assenso di Philippe Clicquot.
La determinazione quasi feroce della donna, che voleva proseguire il lavoro e le idee rivoluzionarie del tormentato François, convinse il suocero, ma Barbe-Nicole e il suo champagne non ebbero, per alcune annate, vita facile.
In un’era di female empowerment, di Storie della buonanotte per bambine ribelli, di rinnovato orgoglio femminista, era inevitabile che la storia vera e a suo modo esemplare di Barbe-Nicole Clicquot Ponsardin arrivasse sugli schermi dei cinema.
A suo modo, anche lei è stata una bambina ribelle, una donna che ha rifiutato di piegarsi ai dettami della cultura patriarcale (e perfino del codice napoleonici) con la forza delle sue idee e delle sue convinzioni, e alla fine anche dei suoi risultati.
E ogni risvolto della sua vicenda aveva in sé connotati chiaramente cinematografici.
Sullo schermo, Madame Clicquot è tutto quello che ci può immaginare: un film nel quale la campagna e la terra, le viti e la vendemmia, assumono rilevanze speciali e metaforiche; in cui l’alternarsi delle stagioni ha un senso profondo; nel quale gli ideali romantici sono incarnati dall’indole inquieta e tormenta di François Clicquot e dal rispecchiarsi suo e di sua moglie nelle loro terre; dove la lotta per affermazione e in qualche modo l’autodeterminazione della sua protagonista passa per un doppio piano, quello legato alla vinificazione e agli affari, e quello che racconta invece la sua storia sentimentale: col marito prima e, poi divenuta vedova, col distributore dei suoi vini, Louis Bohne.
Altrettanto facile è prevedere e verificare come Haley Bennett si sia dedicata con passione a un personaggio che vive anche di incertezze e fragilità, e non solo di coraggio e passione, e come il regista Thomas Napper, non un nome di primissimo piano, abbia girato il film con spirito di servizio, lasciando ai luoghi e ai personaggi il loro spazio e la loro rilevanza, mai schiacciata da inutili virtuosismi ma sempre nel nome di un'eleganza molto classica.
Meno prevedibile era la capacità di Madame Clicquot di lavorare sui chiaroscuri, fotografici e emotivi, e di mettere in scena un processo finale, atto conclusivo del tentativo di estromettere Barbe-Nicole dalla sua azienda, nel quale gli stereotipi sul femminile vengono utilizzati prima e ribaltati poi.
Non lo era che quella che viene raccontata come una appassionata storia d’amore, quella fra la protagonista e il suo defunto marito, sia anche la storia di una relazione problematica, dalla quale Barbe-Nicole uscirà temprata e rinforzata. Come le sue viti.
Che alla fine del film venga voglia di stappare una bottiglia di bollicine (rigorosamente francesi), inoltre, è solo cosa buona e giusta.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival