Love Lies Bleeding: la recensione del film con Kristen Stewart
Nel pieno dell'universo white trash Kristen Stewart in lotta fra un padre criminale e un innamoramento folgorante. La recensione di Love Lies Bleeding di Mauro Donzelli.
Una bella pulita nel peggiore bagno del New Mexico. Inizia letteralmente con le mani nella sostanza marrone, Kristen Stewart, nel secondo film della britannica Rose Glass, che dall’horror indie Saint Maud passa a un thriller fra melodramma e un’esibita estetica trash in cui i luoghi e le marginalità della periferia desertica del sud ovest degli Stati Uniti si abbina a un’analisi sui corpi, specie se trasformati dalle botte o da una bella dose di anabolizzanti.
Lou (Kristen Stewart) è la tuttofare, scontrosa e chiusa nel suo mondo fra timidezza e cinismo, che gestisce una palestra di proprietà del padre (Ed Harris). Una sera è folgorata - amore a prima vista - dalla visione di una culturista che si muove in autostop e dorme dove capita, che si sta allenando per partecipare a un’importante competizione a Las Vegas che potrebbe svoltarle la carriera. Un amore assoluto e foriero di violenza e crimini in agguato.
Al di là della vicenda più superficiale, che resta nei binari della prevedibilità senza particolari guizzi narrativi, è chiaramente la violenza patriarcale a interessare a Glass. Dal marito della sorella di Lou, che picchia costantemente la moglie fino a deformarle il volto, al padre Ed Harris, anche lui deformato in linea con l’estetica decadente di Love Lies Bleeding, fra capelli lunghissimi e attaccatura che sfida la forza di gravità. Un criminale anche lui che ha fatto fuggire la moglie e impone le sue regole alla figlia e a chi lo circonda.
A tratti revenge movie, con la culturista nei panni della supereroina che con i muscoli e la forza reagisce alla brutalità maschile con le stesse armi, il film è un on the road che non parte mai, sembra sempre sul punto di esplodere ma si accontenta di momenti splatter e non sfrutta a pieno l’intrigante coppia protagonista. Amore e violenza è la dicotomia che guida le azioni e le reazioni dei personaggi, con qualche bugia e un bel po’ di sangue come scorciatoie per catturare l’attenzione dello spettatore. Ecco il titolo, ma in fondo anche il film stesso.
Un sogno americano che si trova senza convinzione a passare per un paesino nel nulla, mentre la tentazione delle luci di Las Vegas differenzia le due innamorate protagoniste. Una la vede come tappa di passaggio, l’altra è ormai rassegnata a difendersi dal padre, ma senza muoversi. Un esaltatore visivo di sapidità è il deserto, specie al tramonto, ai margini di questo paese e di questa storia. In quell’immaginario del west ci sta a perfezione anche la colonna sonora di Clint Mansell, apprezzato compositore delle musiche di Requiem for a dream e Drive.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito