Lo strangolatore di Boston: la recensione del true crime con Keira Knightley e Carrie Coon

16 marzo 2023
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Su Disney+ Lo strangolatore di Boston, la storia vera e misconosciuta delle due giornaliste negli anni Sessanta dettero un fondamentale contributo al caso. La recensione di Daniela Catelli.

Lo strangolatore di Boston: la recensione del true crime con Keira Knightley e Carrie Coon

Tra il 1962 e il 1964, un ignoto maniaco uccise a Boston e dintorni, 13 donne, soprattutto anziane, che vivevano da sole, dopo essersi introdotto nelle loro case con l’inganno, spacciandosi probabilmente per un tecnico incaricato di controllare gli impianti elettrici o del gas. I casi finirono sui giornali singolarmente, la polizia non aveva i mezzi e la mentalità per collegare i delitti in base ad elementi comuni e portare avanti le indagini in modo efficace. Il termine serial killer ancora non esisteva e la criminologia moderna muoveva i primi incerti passi. Eppure, in un giornale locale, il Record American, ci furono due donne, Loretta McLaughlin e Jean Cole, che con determinazione, acume e forza di volontà riuscirono a capire che qualcosa accomunava quegli orrendi crimini, in cui i corpi delle vittime venivano profanati e inseriti in una macabra, scenografica rappresentazione, e portarono in prima pagina quello che, inizialmente chiamato “il Fantasma” per la sua capacità apparentemente soprannaturale di apparire, uccidere in pieno giorno non visto e non sentito e di sparire, battezzarono col nome con cui è tutt’oggi conosciuto e che è anche il titolo del nuovo film di Matt Ruskin che racconta questa storia, Lo strangolatore di Boston.

Chi è fanatico delle storie true crime che vanno fortissimo in America, sia in forma documentaria che cinematografica, con le ricostruzioni spesso fedeli e impressionanti dei delitti, non troverà niente del genere in questo film. Il regista, bostoniano, si è volutamente tenuto lontano dall’effetto shock gratuito, gli omicidi avvengono fuori campo, non conosciamo le vittime e non stiamo in ansia per loro. La storia è infatti incentrata sulla ricostruzione di un mondo maschilista, in cui le donne dovevano farsi strada con le unghie e con i denti per sconfiggere il pregiudizio e le preclusioni dei colleghi nei loro confronti. Negli anni Sessanta gli incarichi tipici a loro riservati erano quelli dell’accudimento – l’infermiera - o di supporto, sempre gerarchicamente sottoposto agli uomini, come la segretaria, la dattilografa e la bibliotecaria. Con rare eccezioni, la maggior parte delle donne erano casalinghe e si occupavano dei figli. Nelle redazioni dei giornali le cose non andavano meglio: i cronisti di nera mandati sulla scena del crimine, che spesso riuscivano a farsi dare informazioni riservate da poliziotti amici, indossavano immancabilmente i pantaloni. Le loro colleghe si occupavano di moda, trucco e gossip.

Per questo l’impresa misconosciuta di Loretta e Jean, interpretate nel film da Keira Knightley e Carrie Coon, è ancor più degna di nota. Queste due reporter aprirono la strada del giornalismo d’inchiesta a molte altre donne e nel caso dello Strangolatore riuscirono a portare in prima pagina i fatti che la polizia minimizzava, usando tutti i mezzi a loro disposizione. E per di più, come nel caso di Loretta, cercando di mantenere l’equilibrio precario di un matrimonio in bilico e di crescere tre figli. Impresa difficilissima oggi, figuriamoci 60 anni fa. Però le buone intenzioni non bastano a fare un bel film, e neanche un cast di ottimo livello, che comprende il premio Oscar Chris Cooper nel ruolo del burbero caporedattore, Alessandro Nivola in quello del poliziotto che decide di collaborare con le reporter e David Dastmalchian nei panni di Albert De Salvo, il reo confesso di tutti gli omicidi (ma come vedremo e come sappiamo le cose non andarono veramente così).

L’andamento della narrazione è piatto e televisivo, l’ordine cronologico di alcuni dei fatti è stato cambiato per motivi che ignoriamo e la scelta di evitare la struttura da thriller penalizza la visione per la mancanza di picchi emotivi. Peccato, perché la storia di Loretta e Jean è interessante e la ricostruzione d’epoca accurata, anche se stilisticamente il predominio dei toni scuri, cupi e fumosi rende ancora più remota la vicenda, avvenuta in un mondo in cui i caporedattori tenevano la fiaschetta di whisky nel cassetto della scrivania e le donne che cercavano di affermarsi in un lavoro per cui erano portate, dovevano affrontare ostacoli continui per farlo, mettendo in gioco la loro immagine e a rischio la loro stessa persona.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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