Living the Land: la recensione del film cinese premiato per la miglior regia al Festival di Berlino

14 febbraio 2025
3.5 di 5

Contrariamente a ogni facile pregiudizio, quello del quarantenne Huo Meng è un film che richiede certamente un certo impegno, e non sarà per tutti, ma che è in grado di regalare sorprese e soddisfazioni. La recensione di Living the Land di Federico Gironi.

Living the Land: la recensione del film cinese premiato per la miglior regia al Festival di Berlino

Bisogna essere onesti. Bisogna ammettere che se la descrizione fattuale è “un film cinese in concorso al Festival di Berlino, che dura due ore e dieci e che racconta la vita quotidiana di una famiglia di contadini del 1991”, al netto di uno zoccolo duro di cinefili più o meno irriducibili, la tentazione di dire “manco morto”, e rivolgere le proprie attenzioni altrove può essere fortissima. Anche per molti addetti ai lavori (mi ci metto in mezzo anche io). E allora a maggior ragione bisogna fare dei complimenti al quarantenne Huo Meng che, a dispetto di un simile biglietto da visita, è riuscito a fare un film di certo non per tutti i palati, ma che ha fascino, eleganza, sostanza.
Certo, non è che la visione di Living the Land sia una visione facile, e magari non mancano dei momenti di stanca, ma le difficoltà sono ben compensate da quello che il film racconta, e ancora di più di come lo racconta.

Il nostro punto d’ingresso in questa isolata comunità rurale, che coltiva grano e cotone, è un bambino che è stato mandato a vivere coi nonni e le zie dai genitori, che non possono occuparsi di tutti i figli. Attraverso di lui, e la sua vita di tutti i giorni, facciamo lentamente conoscenza con tutta questa sua grande famiglia, con i suoi amici, con gli altri abitanti del villaggio. Assistiamo a sepolture e scaramucce, ai raccolti e alla semina, alle feste e ai matrimoni, alla preparazione del cibo, alle nuotate nel fiume, alle storie raccontate dagli anziani e alle marachelle combinate dai ragazzini. E attraverso il lento scorrere del tempo e della vita, nell’arco di quattro stagioni, impariamo a riconoscere i volti e notiamo l’evoluzione dei caratteri.
Di cosa parla, insomma, Living the Land? Di niente, in apparenza, se non del ciclo delle stagioni e della vita, e di un mondo che vive in costante tensione tra tradizione e trasformazione, con una modernità che sembra voler sconvolgere equilibri millenari col suo ingresso. E quindi, insomma: di tutto.

Huo Meng ha girato per un anno, con un cast di non professionisti che raggiunge un numero infinito di interpreti (e una delle immagini più belle di questo film, che di belle inquadrature ne ha tante, sta nei titoli di coda, quando lo schermo è riempito interamente da colonne di nome, scritti in cinese e traslitterati in alfabeto occidentale, quasi a comporre quello che una giornalista, uscendo dal film, ha definito un arazzo).
Lo sforzo è stato notevole, ma questo non ha distratto l’autore da una sua precisa, intelligente e riuscita intenzione: quello di girare con uno stile che non fosse puramente naturalistico o confinato nel realismo, e che è sempre miracolosamente in grado di gestire gli equilibri tra le situazioni individuali e quelle collettive, intrisecamente legate tra loro, dei personaggi che racconta.

Living the Land è elegante senza essere patinato, al realismo guarda rifiutando ogni estetica pauperista, ed è in grado di comporre quadri di grande complessità (anche solo per il numero di personaggi e situazioni che sono racchiuse nell’inquadratura) con estrema naturalezza e una mano quasi pittorica. La sua lentezza è quella lentezza che è necessario riscoprire, e che si appare tale solo perché siamo immersi nella frenesia esagerata del presente: e se si accetta il patto proposto dal film, e gli si concede il tempo che richiede, ecco che nella parte conclusiva arrivano anche sorprese notevoli, come quelle di alcune scene oniriche gestire con mano personale, e senza alcuna sbavatura.

Insomma: Living the Land è stato una sorpresa. Sarei meno sorpreso se, al termine della Berlinale, portasse a casa qualche premio.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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