Our Little Sister: recensione del film di Kore-Eda Hirokazu in concorso al Festival di Cannes
Il giapponese racconta un mondo e personaggi possibili, evitando buonismi e drammi.
Dopo Like Father, Like Son, c’è ancora la famiglia, ci sono ancora i legami di sangue e non, ci sono gli affetti che si accumulano o che spariscono nel corso della vita, al centro del nuovo film di Kore-Eda Hirokazu.
E ancora una volta, e ancora di più, quella che il regista giapponese racconta è una storia che, nonostante tutto, alla vita guarda con la voglia di sorridere dolcemente, superando piccole gioie e grandi dolori con la consapevolezza di un nuovo giorno all’orizzonte e dei punti fermi che rimangono al nostro fianco.
Non racconta più dei dilemmi della paternità tra natura e cultura, Kore-Eda, ma la vicenda di tre sorelle che da tempo sono l’unica famiglia l’una dell’altra, madre e padre portati lontano da un tradimento e da un divorzio doloroso. Tre giovani donne che accolgono fra di loro una quarta, la sorella nata nella nuova vita di loro padre, conosciuta per la prima volta al funerale di quest’ultimo.
Più si guarda, Our Little Sister, più non ci si crede: non si crede che davvero il film racconti, con la leggerezza di una brezza primaverile, una storia di ricongiungimento familiare che non cede al dramma delle recriminazioni sul passato, che racconta conflitti giocosi o pronti a ricomporsi dopo delle scuse garbate, che mette in scena personaggi (non solo le quattro sorelle, ma tutta la comunità della piccola cittadina costiera che le ospita) privi di ogni cattiveria e colmi d’empatia per il prossimo, anche quando questo prossimo, magari anche molto, ci fa soffrire. Non ci crede quasi a un film fatto solo e soltanto di piccoli gesti quotidiani, di un’alternanza fra le stagioni quasi impercettibile, dove la narrazione e la drammaturgia procedono per piccole oscillazioni e morbidissime propulsioni, invece che tramite scontri, forti oscillazioni, strappi in avanti e frenate improvvise.
Nelle mani di un altro regista, di casa nostra o comunque occidentale, Our Little Sister sarebbe con estrema probabilità scaduto negli estremi opposti della retorica buonista, irritante e zuccherosa, o dell’aspro dramma familiare depresso, depressivo e ricattatorio. Kore-Eda, invece, con calma tutta orientale e spirito molto buddista, si abbandona completamente a quel mondo e ai personaggi che lo popolano, rendendoli paradigma positivo e accogliente per lo spettatore (l'essere umano) stanco di dover vedere messe in scena solo le asperità dell’esistenza.
In questo senso, quello del giapponese è un film fortemente politico: che dimostra non solo la possibilità, quanto la totale plausibilità di una vita incentrata sull’amore e sulla gentilezza, sulla capacità di apprezzare le piccole gioie quotidiane, di affrontare il dolore con dignità, senza annegare dentro la rabbia, la negazione, il vittimismo, ma aggrappandosi a chi e a ciò che ci può sostenere.
I colori di Our Little Sister sono tenui, i toni sempre morbidi e soffusi: non per questo il film è incolore o eccessivamente ovattato. Richiede, certo, di rivedere le nostre attitudini tutte contemporanee alla fretta, al sarcasmo, alla rivendicazione a voce alta e pugni sul tavolo: ma di certo farlo non è un male.
E con quattro protagoniste che sono quattro moderne Piccole donne, e modo di raccontare debitore tanto alla letteratura vittoriana quanto alla scuola di maestri come Ozu, Kore-Eda ci porta, per un paio d’ore, in un mondo migliore e forse non del tutto impossibile.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival