Life Itself - la recensione del documentario su Roger Ebert
Un bellissimo e toccante ritratto del grande critico americano fino ai suoi ultimi giorni di vita.
Nel 1980 in Nick's Movie,Wim Wenders documentò gli ultimi giorni di vita del regista di Gioventù bruciata, Nicholas Ray, suo amico, che stava morendo di cancro. Ci è tornata in mente, per contrasto, l'angosciante visione di quel film vedendo Life Itself, che ha premesse simili ma un tono - nonostante tutto - meno cupo. Forse perché l'uomo che racconta, il grande critico cinematografico americano Roger Ebert, morto nel 2013 dopo un devastante percorso ospedaliero e numerose operazioni - per combattere il cancro alla tiroide e alle ghiandole salivari - che gli tolsero la capacità di mangiare e di parlare, ma non quella di scrivere, era la forza di volontà e la voglia di vivere fatta persona.
Life Itself è anche il titolo della sua autobiografia, illustrata con rari documenti fotografici e video nel documentario di Steve James, che aggiunge per espressa volontà del giornalista la cronaca dei suoi ultimi mesi a quella delle avventure di una vita ricca e gratificante, per quanto non priva di problemii Dopo solo 5 minuti di film, che si apre col cartellone dell'omaggio a lui dedicato dalla moglie Chaz, “Roger Ebert 1942-2013: A Celebration of Life”, lo vediamo in ospedale, col volto distrutto dall'asportazione della mascella, immagini quasi intollerabili ma stemperate dal suo leggendario umorismo e dall'ottimismo con cui affronta delle vere e proprie torture, affiancato dai nipoti acquisiti e dall'amatissima moglie.
Roger Ebert, volto popolarissimo della tv americana grazie ai suoi programmi in coppia con Gene Siskel prima e Richard Roeper poi, frequentatore assiduo e famoso del festival di Cannes e di altri importanti appuntamenti non solo cinematografici, non si era mai nascosto dal suo pubblico, che aveva affrontato assieme a lui il suo calvario seguendolo con affetto sulle pagine del suo blog, sua ultima avventura. Roger Ebert e la scrittura erano la stessa cosa, due entità imprescindibili: giovanissimo cronista del Chicago Sun-Times era stato il primo, a soli 33 anni, a ricevere un premio Pulitzer per la critica cinematografica.
Star del giornale in un'epoca d'oro e molto macho del giornalismo, amava gozzovigliare coi colleghi fino al punto da diventare alcolizzato. Lo rivelò molti anni dopo, quando grazie agli Alcolisti Anonimi era tornato sobrio e aveva trovato la donna che gli restò accanto fino alla fine e oltre, mantenendone viva la memoria. Uomo senza pregiudizi in un'America che molti ancora ne pratica, all'età di 50 anni aveva sposato una donna di colore e con lei tutta la sua famiglia, dopo una vita da scapolo che lo aveva talvolta reso amaro e ingiusto nei confronti degli altri.
Nonostante l'aspetto non accattivante, Ebert era dotato di una grande sicurezza di sé e di un forte carisma, di cui a volte si approfittava consapevolmente. Non era un santo, ma un uomo di intelligenza acuta e forte personalità, che gli anni e le vicende della sua vita avevano addolcito. Tutto questo e molto altro si capisce dallo splendido documentario di James ignorato dall'Academy, che ha perso una bella occasione per ricordare un personaggio tanto importante per la diffusione della cultura cinematografica nel suo paese e non solo.
E' toccante e divertente la storia della sua collaborazione con Siskel in Siskel & Ebert & The Movies, di cui vengono mostrati anche i non lusinghieri ma spassosi battibecchi dietro le quinte: dalla geniale idea di accostare due personalità antitetiche ma ugualmente brillanti nacque uno dei format più imitati al mondo, che portava nelle case degli americani una critica alla portata di tutti, stimolando l'amore per il cinema e la capacità dialettica degli spettatori. Se due luminari come loro si accapigliavano su un film, a maggior motivo chi pagava il biglietto era legittimato a esprimere la propria opinione.
Il sistema di rating adottato da Ebert e Siskel divenne leggendario: ancora oggi in America two thumbs up, doppio pollice recto, significa il massimo degli onori non ufficiali a cui qualcuno possa aspirare. E le critiche scritte da Roger Ebert, anche quando non condivise, sintetizzavano in modo brillante e in uno stile comprensibile a tutti, gli elementi del suo giudizio.
Come critici e come spettatori con le nostre idiosincrasie dobbiamo tantissimo a Roger Ebert. E ricordarlo in modo non agiografico, con un documentario che nonostante la fine è una celebrazione gioiosa, è il miglior tributo possibile per un uomo che della grande passione per il cinema e per la vita si è nutrito anche sul letto di morte.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità