Le verità: la recensione del film con Francesco Montanari
L'esordiente Giuseppe Alessio Nuzzo punta al thriller psicologico, poco frequentato in Italia.
Gabriele Manetti (Francesco Montanari) torna a casa dopo un lungo viaggio in India, dove ha concluso un importante affare per l'azienda di famiglia. Dovrebbe far proseguire il rapporto con la fidanzata Michela (Nicoletta Romanoff), rilassarsi col migliore amico Alfredo (Fabrizio Nevola) e abituarsi all'idea di accettare il ruolo che suo padre vuole che abbia, in barba al suo desiderio originale di dedicarsi alla pittura. Qualcosa però non quadra: è perseguitato da criptiche visioni del futuro e allucinazioni. Sta impazzendo?
C'è qualcosa di affascinante nel coraggio con cui l'esordiente Giuseppe Alessio Nuzzo, già autore di diversi cortometraggi, si è lanciato con Le verità in un genere che richiede padronanza stilistica e voglia di appagare il pubblico con una tensione che la struttura produttiva nostrana regge di rado. Specialmente perché Nuzzo chiede alla sua troupe (under 35 come lui) di sostenere nella prima parte una struttura a piani sequenza alienante, che insegue un senso di angoscia crescente. Nel tema e nei toni, verrebbe da pensare a opere come Una pura formalità di Giuseppe Tornatore o L'uomo senza sonno con Christian Bale: certo, l'allestimento e il risultato finale di Le verità non sono all'altezza tecnica e artistica di questi modelli, però sentiamo l'obbligo di non liquidare l'operazione solo per questo. Si apprezza sul serio, nella sceneggiatura scritta da Toni Trupia, Daniele Pace e lo stesso Nuzzo, la volontà di non approdare a una spiegazione univoca a quello che è accaduto: l'ambiguità di interpretazione, anzi le molteplici interpretazioni che si possono dare all'articolazione della vicenda, non sono un gioco fine a se stesso. Parte del senso del racconto si può anzi cercare proprio in quell'esercizio interpretativo che viene richiesto allo spettatore, e forse il dubbio stesso è ciò che fa scattare il rispetto per quella che a conti fatti diventa una riflessione sul modo in cui affrontiamo l'esistenza. Non possiamo proseguire oltre per timore di spoiler, ma possiamo citare alcune importanti tematiche che il film tira in ballo, come il rispetto del lavoro, la realizzazione personale, la fedeltà e i bivi esistenziali su cui rischiamo di rimuginare tutta la vita.
E' difficile che un appassionato di cinema esca enormemente colpito da quello che ha visto, perché se l'ambizione è tanta, il risultato sembra nella confezione una fiction nostrana, anche per la gestione più incerta dei tempi nella seconda metà. La chiave tuttavia è in quel "sembra": generare più domande che risposte è segno di buona volontà sinceramente cinematografica, e c'è chi ai suoi primi passi, a differenza di Nuzzo, ha giocato più in difesa.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"