Le Déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta: la recensione del film di Gianluca Jodice

13 novembre 2024
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Dopo il bell'esordio con Il cattivo poeta, Gianluca Jodice si conferma come regista che sa cosa dire e come dirlo con Le Déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta. La recensione di Daniela Catelli.

Le Déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta: la recensione del film di Gianluca Jodice

“Dopo di me, il diluvio”, è la frase attribuita a Luigi XV di Francia, che commentava così quello che sarebbe successo dopo la sua morte (e quanto gliene importasse). E il diluvio arrivò davvero, sotto forma della Rivoluzione francese, che fece (momentaneamente) piazza pulita della monarchia e della nobiltà, tagliando sulla ghigliottina la testa del suo diretto discendente, Luigi XVI, ultimo re “per diritto divino”, e della moglie Maria Antonietta, oltre a quelle dei loro cortigiani. Le Déluge ci racconta cosa successe quando la famiglia reale viene arrestata dopo la tentata fuga a Varennes e rinchiusa nella prigione della Tour du Temple in attesa del verdetto sulla loro sorte, decisa dalla Convenzione Nazionale.

Inizialmente quasi estranei, il re debole e la regina capricciosa, si avvicineranno di fronte alla tragedia che li colpisce come famiglia. Dopo il bell'esordio col ritratto dell'anziano D'Annunzio in Il cattivo poeta, Gianluca Jodice torna alla grande storia scrivendo assieme a Filippo Gravino e dirigendo Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, un film prezioso e di grande impatto intellettuale ed emotivo, su un'altra svolta fondamentale nel percorso umano, ovvero la madre di tutte le rivoluzioni borghesi. E ci racconta il mentre e il tempo dell'attesa, quando i Reali di Francia (Luigi XVI, Maria Antonietta, i due giovani figli e la sorella di lui), vengono imprigionati, all'inizio trattati con riguardo poi con sempre maggior durezza, prima dell'epilogo ben noto. Questa capacità di raccontare l'inarrestabile corso della storia, ma sempre da un punto di vista umano, lucido e a tratti spietato anche nella “necessità” del male, rende Le Déluge un film coinvolgente e a tratti commovente, che stimola il dubbio e la riflessione, facendoci provare compassione anche per le maschere, simbolo dell'oppressione sul popolo, una volta spoglie dei simboli della loro autorità.

Luigi XVI appare, nella meravigliosa interpretazione di un Guillaume Canet quasi irriconoscibile, come un uomo patetico, buono in fondo, che ama profondamente la sua famiglia, anche se sa che è nata per motivi dinastici, sopporta gli sgarbi e i tradimenti dell'amata Maria Antonietta, sposa a soli 15 anni, che non intende rinunciare al rango ma verrà brutalmente costretta a farlo. Arrivati alla Tour du Temple come dei, in carrozza, con le parrucche meticolosamente acconciate, gli abiti di corte, le onorificenze, la servitù, l'etichetta e tutte le regole date per scontate da secoli e secoli, si ritrovano pian piano uomini in mezzo agli uomini, non rispettati, spogliati dei propri orpelli e del pudore, mentre cercano di fare i conti con la propria coscienza. Pur illudendosi fino alla fine, si avvicinano all'ultimo stato, quello di morti, con una dignità che non è del ruolo ma dell'uomo.

Ci sono scene di grande impatto emotivo in Le Déluge, che non racconta solo “Gli ultimi giorni di Maria Antonietta”, ma il tramonto di un'era, la rivoluzione che non è un pranzo di gala e a cui vengono prestate le parole di una celebre poesia di Bertolt Brecht, perché per preparare la strada alla gentilezza, e in questo caso all'uguaglianza, non si può essere gentili. Il Re deve essere sacrificato: non importa se non sia colpevole e se sia innocuo ai fini del nuovo ordine, ma è solo uccidendo il simbolo che si può andare verso il futuro. Cinema da camera impreziosito dalla recitazione dei protagonisti (sottolineiamo anche la bella prova di Mélanie Laurent con un personaggio tante volte portato al cinema, ma a parer nostro mai con tanta verosimiglianza storica), dalla scrittura documentata e mai banale e da contributi tecnici di livello eccelso.

Anche i costumi di Massimo Cantini Parrini, le acconciature di Aldo Signoretti, la fotografia di Daniele Ciprì, le scenografie di Tonino Zera e le musiche di Fabio Caprogrosso, il trucco di Alessandra Vita e Valentina Visintin, ci accompagnano in un viaggio a ritroso nel tempo fin dove ebbe inizio il mondo moderno, ma al tempo stesso ci ricordano che a compiere certe imprese sono sempre stati esseri umani, intrappolati in ruoli e classi sociali, detentori di ingiusti privilegi per nascita, isolati dal mondo reale dalla vita di palazzo o costretti a strappare alla miseria e alla malattia ogni singolo giorno di sopravvivenza. L'epoca del re taumaturgo per diritto divino finisce sotto le lame del boia Sanson in Place de la Concorde, ma la storia continua e quello che siamo oggi lo dobbiamo, nel bene e nel male, a quelli che sono venuti prima: riscoprirlo anche al cinema, in questi tempi di restaurazione, è cosa buona e giusta, nonché necessaria.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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