La volta buona: recensione del film con Massimo Ghini e Max Tortora
Con La volta buona Vincenzo Marra gioca su un terreno diverso e affianca le sue due grandi passioni in un film poetico e sincero.
Un film può essere autobiografico e può essere personale, e quindi autocelebrativo oppure catartico, o semplicemente nascere dal vissuto di un regista e dalle riflessioni di una vita sul mondo e sull'umanità che lo popola. La volta buona non è un journal intime di Vincenzo Marra, non è un viaggio narcisistico alla scoperta di un altro sé, e non è nemmeno un film portatore di un messaggio moralistico. La volta buona è una storia senza tempo e nello stesso tempo legata al nostro tempo, che mescola le due grandi passioni del regista (il calcio e il Sud America) con la vicenda di un uomo che, a metà degli anni '50 o negli anni '60, sarebbe stato con buona probabilità interpretato da Vittorio Gassman o da Nino Manfredi, o un po’ più in là da Ugo Tognazzi. Il procuratore calcistico Bartolomeo, che ha perso tutto al gioco e che insegue ancora l'occasione della vita, è un "mostro" o un "nuovo mostro" proprio come lo erano tanti personaggi dei migliori attori italiani di una volta. Marra questo lo sa e fotografa il nostro con un cinismo molto monicelliano, e non c'è da stupirsi se il regista de I soliti ignoti sembra fare capolino ne La volta buona, perché è stato proprio lui a dire a Vincenzo Marra di ascoltare quell'altra vocina che aveva dentro, una vocina sempre rigorosa ma più vibrante, emozionante, che poteva continuare a prediligere le storie dei "vinti", ma che doveva nascere da una voglia di lasciarsi andare, e forse di lasciar fluire più libero il racconto.
Ecco, La volta buona è un fiume che scorre tranquillo, fin quando qualche pioggia non lo ingrossa rendendolo all'improvviso più impetuoso. Succede in tutte quelle scene che descrivono, con garbo, ma anche con infinita malinconia, la solitudine maschile: quella di Bartolomeo (Massimo Ghini), sfatto e stanco in una casa piena di mobili brutti e soprammobili ancora più brutti, e quella, più dolce e notturna, del Bruno di Max Tortora, che in Uruguay non ha trovato il sogno di cui è andato in cerca e che, per sentirsi meno triste, si siede su una panchina e guarda il mare. Si avviano verso i 60 anni Bartolomeo e Bruno, e se da giovani hanno lanciato tanti prodigi del calcio, si sono poi saputi rovinare l'esistenza con incredibile perizia, vergognandosi a volte delle proprie miserie.
Somigliano ai protagonisti di un romanzo di Verga questi due ex soci, che sono stati sconfitti da una serie di sfortunati eventi e stringono fra le mani un pugno di mosche mentre si aggrappano alla possibilità di veder cambiare la propria esistenza da un momento all'altro. Non sono dei poveracci, tuttavia, perché la povertà quella vera abita a Montevideo, nella casetta della nonna di Pablito, ragazzino basso che gioca bene a pallone e che sa che lasciare la baraccopoli in cui è cresciuto per entrare in una squadra italiana potrebbe salvare la sua intera famiglia. E’ lui, più che i gaglioffi che lo vedono come una macchina per far soldi, il portatore di dignità de La volta buona, l'immigrato che arriva in aereo e non su un barcone per essere mandato al macello dell'effimera celebrità e di cure mediche che rischiano di rovinarlo in età adulta.
Pablito è il cuore pulsante del film di Marra, che lo riprende in primi piani e poi in campi lunghi, dando respiro alle sue inquadrature e allargando alla strada, al paesaggio, al campo da gioco. Partecipa al viaggio reale e metaforico di Bartolomeo la macchina da presa del regista, che con i suoi attori ha lavorato "sospiro su sospiro, sorriso su sorriso, virgola su virgola, sguardo su sguardo", per poi fermarsi a un certo punto a guardarli come incantato. Talvolta ha ceduto a qualche imperfezione nella costruzione dell'intreccio il regista, ma ha chiuso con un finale che non ci aspettavamo: poetico, intimo, e commovente. Marra, infine, ha scelto bene i suoi protagonisti, dando a Ghini una nuova magnifica opportunità e confermando, qualora ce ne fosse bisogno, il valore cinematografico di Tortora.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali