La vita in comune: la recensione della tragicommedia pugliese di Edoardo Winspeare presentata a Venezia 2017

02 settembre 2017
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Il paese di Disperata è in cerca di una svolta.

La vita in comune: la recensione della tragicommedia pugliese di Edoardo Winspeare presentata a Venezia 2017

Il Salento per Edoardo Winspeare è come Manhattan per Woody Allen: un microcosmo a lui così vicino da chiamarlo universo, non trovando particolari ragioni per andare altrove a girare i suoi film. Negli ultimi anni il regista pugliese si sta avvicinando sempre più a un cinema di luoghi e volti, nella maggior parte dei casi non professionisti, alle prese con le ramificazioni famigliari: fra legami indissolubili e acrimonia altrettanto radicata. Il tutto sullo sfondo del Paese, inteso come vero universo/mondo sociologicamente in movimento attraverso regole proprie. Dal suo paesino nei pressi di Santa Maria di Leuca ha fatto poca strada per creare l’immaginario e ameno Disperata, assolato e depresso, come il sindaco che non è in grado di cambiare le cose, di dare un svolta alla vita dei suoi compaesani. Chissà che non possa aiutare l’apparizione intesa a pochi metri dalla riva della foca monaca, assente da trent’anni da quei mari.

Il cinema “autarchico” di Winspeare ambisce all’universalità passando per un local estremo, che lo vede di nuovo utilizzare come attori soci, come il sindaco Gustavo Caputo, o moglie, come l’assessora Celeste CasciaroLa vita in comune inizia con due criminali di infimo cabotaggio che tentano un’improbabile rapina a un distributore di benzina con la goffaggine (ma anche la simpatia) dei soliti ignoti. Proprio sull’improbabile legame fra un sindaco, consapevole della sua inadeguatezza, e dei piccoli criminali convertiti al bene comune grazie all’arte, con un pizzico di religiosità, e alla poesia, si fonda questa storia. In questo fiaba lieve e densa di speranza, Winspeare gioca sulla comunione d’intenti fra opposti per i momenti di comicità più immediata. 

La vita in comune è un film candido, che richiede una buona dose di accettazione della speranza di un cambiamento, di una rinascita civile che sembra così lontana in questi tempi di rancore e convivenza isterica, ma ci sembra l’unica soluzione per riedificare sulle macerie, come quelle dei muretti di pietra in riva al mare pronti a ospitare il sogno/follia di un sindaco finalmente propositivo.

Se nel precedente, In grazia di Dio, era la terra a rappresentare il futuro della protagonista, che si affidava ai suoi frutti come sfida per il futuro, come risposta alla concorrenza (sleale) della globalizzazione, questa volta è letteralmente l’acqua, il mare locale, immutabile ma sempre diverso, a regalare la soluzione all’impasse in cui quella realtà, ma certo anche l’Italia tutta e non solo, è bloccata. Inadeguata la classe politica, ne La vita in comune è addirittura il peccatore convertito alla bellezza che alimenta la rinascita, in un ribaltamento dei ruoli che rimanda, con grande discrezione e poco clamore, alle origini del messaggio cristiano, regalando figure buffe di profeti loro malgrado.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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