La Tour de Glace: recensione del film con Marion Cotillard presentato a Berlino
Una ventenne si aggira di notte in un inverno montano, fino a che si imbatte nelle riprese di una versione di Biancaneve con la seducente star protagonista. Infinite peregrinazioni e silenziosi pedinamenti e divagazioni per un deludente e inconcludente film diretto da Lucile Hadzihalilovic. La recensione di Mauro Donzelli.
Ci sono film che fanno percorrere lunghi voli con la fantasia agli spettatori e altri solo ai protagonisti. Quest’ultimo è il caso del peripatetico profluvio di camminate a vuoto, silenti e in alta quota, compiute dalla giovane protagonista di questo nuovo film di un’autrice in cerca di identità, e da molti anni, fra i luoghi fantastici di un’ispirazione non proprio sempre felice. Si chiama Lucile Hadžihalilović, è una francese di origine bosniache, complice e compagna di Gaspar Noè.
La regina delle nevi di Hans Christian Andersen è l’immaginario all’interno del quale si muove Jeanne, una quindicenne degli anni Settanta che vive in un villaggio in alta montagna. Siamo sempre di notte e in ricerca costante di un modo per lasciare l’orfanotrofio in cui è cresciuta per poter scoprire il mondo, o quantomeno qualcosa al di là di quelle vette più minacciose che affascinanti, sommerse fra i ghiacci. Anche perché appena qualcuno le dà un passaggio sembra più incline a minacciosi fini che a portarla verso un altrove così tanto sognato.
Eccola allora alle prese con altre lunghe camminate, sempre silenti, in cerca delle luci e di una non ben precisata “città”. Sembra arrivarci, quando cerca un rifugio e si introduce in un edificio industriale, una specie di hangar. Ha sonno, in un corridoio vede un vestito bianco con delle perle e ci si sdraia come giaciglio per la notte. Più o meno fino a qui siamo anche restati incuriositi dalle peripezie misteriose della ginnica giovane. Al risveglio si trova davanti Biancaneve in persona, la regina delle nevi, splendente e carismatica come un’attrice del cinema, e Marion Cotillard che la interpreta.
La fantasia, e anche il cinema che in fondo è il manifesto del loro confondersi, non può permettersi di identificare un proprio limite o un obbligo rispetto alla realtà. E allora eccoci proiettati proprio in un set cinematografico, sempre buio e con un clima non proprio spensierato, visto che la diva abbina con naturalezza un carisma statuario, nel senso più che altro statico del termine, dovuto all'immobilità inguainata nell’abito lungo da candida Biancaneve, a una predisposizione al dispotismo e alla cacciata senza troppi scrupoli di comparse, tecnici o quant’altro.
Ma per qualche motivo si incuriosisce molto a Jeanne e la porta con sé, sotto la sua soffocante protezione. E forse è proprio in questa scelta istintiva che risiede il senso di questo film, non fosse che un comune vissuto da bambine solitarie cresciute in un istituto sembra essere la fin troppo banale risposta. Cristina, questo il nome della star, rivede in questa giovane sé stessa, fino al punto di invidiarne la giovinezza o le possibilità di avere ancora molto tempo a disposizione. O almeno questo ci sembra poter essere il motivo della sua pulsione più violenta che amorevole che la spinge in una scena centrale di questo film in cui davvero è complesso capire, o interessarsi, a dove voglia andare a parare l’autrice.
Fra fiaba e cinema, una ricostruzione non priva di fascino di uno scenario di montagna che sembra uscito da un libro illustrato per bambini, La Tour de Glace lascia inevitabilmente perplessi e insoddisfatti per aver intrapreso un viaggio senza bussola ma neanche diversioni che possano spiazzare.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito