The Promised Land: la recensione del film con Mads Mikkelsen in concorso al Festival di Venezia
Un uomo cerca la terra promessa in un'isolata regione della Danimarca di fine XVIII secolo. Mads Mikkelsen mattatore assoluto di Bastarden, presentato in concorso a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.
La vita è caos. Una frase che potrebbe suonare una constatazione amichevole a un abitante di oggi del nostro pianeta. Ma che ancora di più rifletterebbe l’arbitrario dietro la placida immobilità della natura selvaggia nell’estremo nord danese di fine XVIII secolo. Viene pronunciata da un nobile che mal sopporta i tentativi di un suo vicino, appena arrivato, di coltivare la terra fra la brughiera, l’erica, le pietre e la sabbia della regione dello Jutland.
Ispirato a un romanzo d’avventura, Bastarden ha un titolo piuttosto esemplificativo delle lotte che mette in scena, ma quello internazionale, The Promised Land, identifica al meglio il contesto. Ludvig Kahlen è un capitano che ha servito per dieci anni l’esercito tedesco e ora chiede e ottiene, dopo qualche resistenza fra i suoi consiglieri di palazzo, l’autorizzazione del Re di Danimarca a conquistare e coltivare l’inabitabile e poco ospitale regione nord dello Jutland, in preda a briganti e con un clima tremendo. Si scontra però con un signorotto locale e confinante, che ritiene che la terra appartenga in realtà tutta a lui. Un vero colonizzatore, insomma, che inizia a preparare l’ibridazione virtuosa di questo robusto racconto fra western e dramma storico. E come in ogni spinta pionieristica, in questo caso verso nord, c’è la ricercam di una nuova vita, la volontà di superare il passato e ci si ritrova fra reietti o marginali, almeno tali sono bollati dalla società. Tanto da volerne costruire una nuova.
Il personaggio di Kahlen è affascinante e determinato, affidato alle solide mascelle di Mads Mikkelsen, che con il regista Nikolaj Arcel aveva già lavorato in un altro affresco storico danese, A Royal Affair, orso d’argento a Berlino e poi candidato all’Oscar straniero nel 2013. Ambientato in quegli anni di metà Settecento, si concentrava su intrallazzi amorosi di palazzo, mentre qui è tutto più epico, specie nel rapporto sinergico eppure molto complesso con la natura, con scelte sempre esistenziali, mai futili, capaci di scatenare conseguenze cruciali, prevedibili o imprevedibili. Una spirale irrefrenabile di vendetta e intrighi di palazzo nella lontana corte reale continua poi a cambiare la posizione dei consiglieri del re su chi debba portare avanti questa colonizzazione a cui solo il re sembra credere, fra una seduta alcolica e l’altra.
Basti pensare all’amore, che si insinua fra le assi sconnesse della Casa Reale, nome del primo timido insediamento, con le sembianze di una ex cameriera del suo nobile arci rivale, presa al suo servizio dopo la tragica uccisione del marito, ma poi imparata a conoscere meglio nelle lunghe notti del Baltico. Si forma una famiglia innaturale, dalle maniere poco melense ma dall’affetto silente sempre più solido. Insieme ai due c’è anche una ragazzina nomade, dalla vita non semplice, visto che per la popolazione è portatrice di cattiva sorte se non di una qualche forma di stregoneria. Ma la vita è caos, e i legami sono tanto solidi quanto la società intorno gli permette di essere. Il desiderio è il motore delle azioni di Bastarden, ma Arcel non sembra intenzionato a farla passare troppo liscia ai suoi personaggi, in una nuova terra promessa che ricerca cocciutamente il calore di una nuova popolazione che possa definirla casa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito