La scoperta dell'alba - la recensione del film di Susanna Nicchiarelli
Un composto diario intimo di alcuni personaggi e di un Paese che, singolarmente e collettivamente, vive di una necessità dolorosa e impellente di rileggere, ricostruire, comprendere e accettare un passato difficile.
Partiamo da una considerazione.
Pochissimi hanno in Italia, al momento, la capacità di Susanna Nicchiarelli di raccontare, rielaborare e concretizzare con naturalezza e nel cinema tutto quel portato iconografico e culturale che abbraccia l’oggettistica e l’arredo, i media e la moda, la storia e la memoria e che comunemente viene definito come vintage, o modernariato.
Non si tratta di una puntualizzazione solo estetica o formale, legata alle scenografie o ai costumi del film, alla scelta delle musiche o di altri dettagli, ma di una questione fortemente contenutistica.
Rielaborando il passato secondo i dettami del vintage, che non è solo sua ricostruzione minuziosa del passato ma (anche) rilettura dello stesso con gli occhi di allora del presente, e quindi di essere nostalgico e ironico al tempo stesso, il cinema della Nicchiarelli è in grado di raccontare storie (grandi e piccole, pubbliche e private) capaci di essere universali perché radicate in un immaginario comune a tutte le generazioni e che, anche in questo caso, non è mai ideologico.
Se quest’osservazione generale valeva per Cosmonauta, vale ancora di più per La scoperta dell’alba, libero adattamento di un omonimo romanzo veltroniano che racconta, indirettamente, dal presente verso il passato, gli anni del terrorismo e la loro plumbea eredità nella vita del paese e di tutti noi. Vale ancora di più perché sorprende, e in positivo, come Susanna Nicchiarelli (e il suo co-sceneggiatore Michele Pellegrini) siano riusciti a trattare con una sensibilità generazionale e lontana da ogni lettura politica in senso tradizionalmente novecentesco una storia che, per sua natura, racconta anche la nostra Storia. E senza, al tempo stesso, perdere di coscienza (politica) o abbracciare un ecumenico qualunquismo che miri alla rottamazione indiscriminata di un passato che, ideologico, lo è stato fortemente.
Ecco che allora, a fronte di alcune scelte vagamente opinabili (di casting e di sceneggiatura), e di una partenza diesel, La scopera dell’alba contrappone una struttura solida e ancor di più una punteggiatura forte e presente fatta di piccole scene e di dettagli memorabili, di una consapevolezza pop di notevole caratura, di un sentimentalismo asciutto, mai becero, spesso ruvido ma al tempo stesso tenero e commovente. Come quello incarnato dal personaggio (ben) interpretato dalla stessa regista, che è forse quello che fornisce, se non lo sguardo, la chiave di lettura privilegiata per comprendere tutto il film.
Nelle mani di Susanna Nicchiarelli, La scoperta dell’alba diviene un composto diario intimo di alcuni personaggi e di un Paese che, singolarmente e collettivamente, vive di una necessità dolorosa e impellente di rileggere, ricostruire, comprendere e accettare un passato nel quale i padri (anche quellli dell’autoproclamatasi “meglio gioventù”) non sono stati necessariamente nobili, e che ci hanno consegnato un’eredità pesante e sabbiosa sulla quale cercare di costruire, tra mille difficoltà e mille incertezze, nuove fondamenta.
Più maturo e più aspro di Cosmonauta, La scoperta dell’alba è allora capace di evitare le trappole insidiose della retorica, del buonismo delle sue radici letterarie, delle prese di posizione più maudit, per farsi racconto prima di tutto umano, familiare.
Un racconto caldo, equilibrato, sentito, capace della limpidezza generosa dello sguardo di una bambina e della maturità malinconica di quello di un’adulta.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival