La Scommessa - Una notte in corsia: la recensione della commedia nera con Carlo Buccirosso e Lino Musella
Carlo Buccirosso e Lino Musella sono i magnifici protagonisti de La Scommessa - Una notte in corsia, una commedia nerissima, tutta in una notta e in un ospedale, su un'umanità piccina e disgraziata. La recensione di Carola Proto.
"Certe notti somigliano a un vizio che tu non vuoi smettere, smettere mai" - cantava Luciano Ligabue nel lontano 1995, parlando di un tempo sospeso - la notte - che, invece di dissolversi con le prime luci dell'alba, resta impresso nella memoria per via di un incontro, un gesto, un pensiero, una brutta avventura. I rocker, del resto, vivono molto di notte, e come loro i medici e gli infermieri, che, in sale operatorie o pronto soccorso, si muovono fra noia e urgenza, indolenza ed eroismo, partecipazione e indifferenza. Già. perché quando si ha a che fare con i malati, soprattutto con quelli gravi, bisogna imparare a distaccarsi emotivamente, al punto da considerare la morte un increscioso incidente che prevede noiose scartoffie e necessarie telefonate. Si può scherzare con la morte? Certo che si può, anzi si deve, perché non c’è niente di più catartico di una risata per scongiurare il terrore della figura di nero vestita e armata di falce. Chi fa commedie lo sa benissimo - a cominciare dai Monty Python con il loro Signor La Morte - e lo sa perché, da quando esiste il mondo, sono le disgrazie altrui che divertono di più, come ci insegna l'umana reazione allo spettacolo di qualcuno che scivola sulla buccia di banana.
Lo slapstick, tuttavia, c'entra poco con La Scommessa - Una notte in corsia, che appartiene indiscutibilmente al genere commedia nera (anzi nerissima) e parla delle 12 ore che due infermieri, Angelo e Salvatore, trascorrono in un reparto del Santi Martiri di Napoli. Stufi e frustrati, scommettono sulla vita di un paziente che arriva in stato di incoscienza, e lo fanno per il gusto di vincere più che per la posta in gioco, che corrisponde a pochi spicci e alle ferie tra Natale e Capodanno. Lo fanno anche per uscire dalla mediocrità e per non guardare all'infinito le lancette di un orologio da muro con la scritta "Forza Napoli" che sembrano muoversi al rallentatore. A procedere invece speditamente, nonostante l’unità di tempo e di luogo, è il film stesso, perché la macchina da presa di Giovanni Dota si sposta su e giù per i corridoi e le stanze di degenza, perché entrano in scena altri personaggi e perché i sublimi protagonisti del film Carlo Buccirosso e Lino Musella si muovono con disinvoltura tra la ferocia e la pietas, ora l'uno contro l'altro e ora complici loro malgrado. È sufficiente che uno dica: "Questo non arriva a domani" o "Caputo è un uomo morto" per scatenare la risata liberatoria di cui sopra. E poi si sa: la tradizione comica napoletana è piena di “morti all’improvviso”, “non veramente morti” e “morti per mettersi in salvo”, e il regista ne è consapevole, e da quella fucina di talenti che è la scena comica partenopea prende in prestito anche Iaia Forte e Nando Paone, senza però scivolare in quell'esagerazione comica che qualcuno ha battezzato "napoletaneria" opponendola alla “napoletanità”. Del resto, per citare Dota, l'ispirazione del film sono quelle "tragedie che fanno ridere" che tanto piacevano a Mario Monicelli.
Ora, sia Angelo che Salvatore, il primo diviso fra un' amante immusonita e una moglie virago, il secondo succube di mammà, fanno sorridere ma solo fino a un certo punto, e cioè fino al momento in cui Buccirosso dice ai figli del Signor Caputo, a Salvatore e a una dottoressa che è di guardia: "Restiamo umani". Una volta pronunciate queste parole, La Scommessa cambia passo e tono, mentre la macchina da presa continua a non identificarsi con lo sguardo di nessuno ma preferisce scrutare i personaggi e giudicarli, mentre l'ambiente che li ospita denuncia la sua fatiscenza, come se il film volesse dare una stoccata ai tagli alla sanità, fra ospedali, posti letto e personale. E allora viene da chiedersi: chi è qui il cattivo? Perché un cattivo deve esserci, altrimenti non sentiremmo il "Dies Irae" del "Requiem" di Mozart. Forse il cattivo è semplicemente la vita, perché Angelo e Salvatore perdono i contorni dell’umano e, da persone svogliate e senza stimoli, scommettono per disperazione. In mezzo a malati che soffrono, soffrono pure loro, e chi soffre spesso non ha pietà ma solo un senso di rivalsa nei confronti del destino e del resto del mondo. Certo, anche la logica del posto fisso potrebbe assurgere a villain della nostra storia, con la svogliatezza che genera insieme al chiodo fisso delle ferie, dei permessi, dei turni. In ogni modo, l'umanità che Giovanni Dota racconta non fa una bella figura, e siccome secondo lui le commedie italiane sono diventate troppo innocue, l'unica maniera per girare il coltello nella piaga è narrare una discesa all'Inferno, un Inferno in cui tutti giocano sporco e che deve spiazzare lo spettatore, ormai fin troppo abituato a meschinità, mezzucci, connivenza e omertà.
Carlo Buccirosso ci ha tenuto a dire che La Scommessa - Una notte in corsia non è un film innocuo e che dovrebbe far paura a chi lo vede. Ci sembra che ci riesca, e infatti il balletto di Salvatore e Angelo, che sono alternativamente vittima e carnefice, si trasforma ben presto in una danza macabra. Eppure alla fine il regista sembra perdonare i suoi protagonisti e chi si muove intorno a loro, come a suggerire che a Ferragosto tutto è possibile e che, quando la notte finisce, si può ripartire da zero come se nulla fosse successo o come se tutto fosse stato un sogno. Ovviamente non lo è, ma sta a noi avallare o meno la finzione, ridere o mandare giù il boccone amaro, riflettere o non vedere l’elefante nella stanza. Volenti o nolenti, siamo chiamati in causa, e già questo dimostra che La Scommessa è un film di grande intelligenza.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali