La persona peggiore del mondo, la recensione: Joachim Trier e un personaggio femminile figlio del suo tempo
In concorso a Cannes 2021, dove la protagonista Renate Reinsve ha meritatamente vinto il premio come miglior attrice, La persona peggiore del mondo racconta la maturazione sentimentale ed emotiva di una ragazza di Oslo mescolando con garbo i toni della commedia e quelli del dramma.
Un prologo, 12 capitoli e un epilogo.
In mezzo, la maturazione sentimentale, emotiva e personale di una giovane donna, Julie. Julie, che nel prologo Joachim Trier ci racconta come ragazza insicura riguardo studi e carriera, ondivaga, che pare trovare stabilità in Aksel, un fumettista che ha quasi 15 anni più di lei. E che nell'epilogo ritroviamo finalmente in pace con sé stessa, dopo alcuni anni, la relazione con Aksel, quella con Eivind, gioie e dolori della vita passati sotto i ponti, e le tante scelte difficili che a volte devi fare per crescere e trovare la tua strada, anche se ti fanno sentire la persona peggiore del mondo. E difatti si chiama proprio così, il film di Trier presentato in concorso al Festival di Cannes: Verdens Verste Menneske, "la persona peggiore del mondo".
Il canovaccio del film scritto e diretto da Trier è piuttosto semplice. Proprio perché semplice è abbastanza universale, e ottimo per essere declinato in vari modi: in chiave di commedia oppure di dramma, secondo coordinate più semplici e commerciali o altre più cerebrali e autoriali. Quello che fa il norvegese è tenere insieme i registri dei due generi, dramma e commedia (che poi sono i due aspetti della stessa medaglia, la vita), e girare un film d'autore capace di una leggerezza che fa simpatia. Non era facile.
Quel che era facile, in una storia e in un film del genere, era che i personaggi (la vagheggiante e insicura Julie per prima, ma anche i due suoi uomini) finissero per risultare antipatici. E invece non è così, perché Trier - che a questi personaggi vuole bene, e non li tratta da cinico demiurgo come spesso accade ai registi da festival e non solo - ne fa emergere sempre un'umanità nella quale è impossibile non riconoscersi, e con cui quindi non si può non solidarizzare. Merito anche degli interpreti: la sorpresa Renate Reinsve (che a Cannes ha vinto il premio come miglior attrice), il bravissimo Anders Danielsen Lie e Herbert Nordrum.
Se poi Julie a tratti appare immatura per essere una ragazza che ha quasi trent'anni all'inizio della sua relazione con Aksel, lo è perché in Verdens Verste Menneske Trier ragiona anche, dal punto di vista di un uomo della sua età, sul presente e sulle differenze tra generazioni, in un mondo sempre più privo di punti di riferimento e che anzi vede dissolversi progressivamente anche le poche certezze che sono esistite finora.
E così nel suo film c'è spazio anche per scene in cui si ragiona con ironia sulle ansie aggressive della woke culture, contrapponendo il pensiero di Aksel (che poi è quello di Trier, e anche il mio, per quel che conta) sull'arte e la sua libertà, a quello di una post-femminista molto arrabbiata che non gliene fa passare una.
Ma spazio c'è anche per il femminismo assai più sensato di Julie, e per i suoi rapporti con la sua madre, e con un padre assente, con la necessità di trovare una strada autonoma, e perfino per scene lisergiche forse superflue, ma che il regista norvegese gestisce senza svaccare mai, e alle quali riesce anche a dare senso narrativo chiaro e non pretestuoso.
E poi ci sono dei confronti tra Julie e Aksel, dopo la fine della loro relazione, che sono di una sincerità e di una semplicità che sono commoventi e disarmanti, per quello che dicono sulla coppia, e sulla vita in generale.
Sono le punte massime di un film, Verdens Verste Menneske, che magari non è un capolavoro, ma che è semplice senza essere scialbo, sincero e pure simpatico senza essere mai sciocco.
Avercene di più, di film così.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival