La fisica dell'acqua - recensione del film con Claudio Amendola

29 aprile 2010
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Impossibile avvicinarsi a La fisica dell’acqua senza parlare della sua genesi a dir poco laboriosa: girato nel 2004 è poi rimasto in un cassetto a causa del fallimento della società di produzione. Letteralmente scongelato da pochi mesi è nei cinema distribuito dalla nuova arrivata Iris Film.maum

La fisica dell'acqua - recensione del film con Claudio Amendola

La fisica dell'acqua - la recensione

Impossibile avvicinarsi a La fisica dell’acqua senza parlare della sua genesi a dir poco laboriosa: girato nel 2004 è poi rimasto in un cassetto a causa del fallimento della società di produzione. Letteralmente scongelato da pochi mesi è nei cinema distribuito dalla nuova arrivata Iris Film.

Si tratta di un film che fin dal titolo ci chiarisce come voglia lavorare su fin troppo sbandierati simbolismi fra l’acqua, con il suo scorrere infinito, ma mai uguale a se stesso e il passato dei protagonisti che non dà loro pace. Riuscirà la verità a riemergere dal turbinio apparentemente placido delle acque? La prima sequenza del film ci conduce in una villa su un lago, nel mezzo di una situazione apparentemente serena di vita quotidiana: un uomo (Claudio Amendola) sta per uscire di casa in macchina, viene fermato da una donna (Paola Cortellesi), immaginiamo la sua compagna, che decide all’ultimo momento di andare via con lui. Accortosi di ciò il figlio di 6 anni inizia una corsa disperata per fermare la madre. Non ci riuscirà e la macchina avrà un incidente. Scopriremo infatti che aveva i freni manomessi. Colpevole il bambino, evidentemente già in possesso di insospettabili abilità da meccanico. Dopo questa premessa il film racconta in parallelo di un poliziotto improbabile (Stefano Dionisi) che interroga il bambino e le vicende legate alla morte del padre anni prima, quando era molto piccolo. Il nuovo compagno della madre è nientemeno che il cognato tornato dopo essere andato per anni in Australia in seguito alla morte per annegamento del fratello.

Il film dimostra la passione e l’attenzione formale e tecnica del suo regista, Felice Farina, che crea un mondo piuttosto affascinante, anche grazie alla location sul Lago Maggiore, un thriller psicologico quando non psicanalitico che potrebbe ricordare alcuni film francesi, magari di Claude Chabrol. Ma il problema è nello sviluppo narrativo che non decolla mai, nei dialoghi poco credibili, che non facilitano il lavoro degli attori poco a loro agio nei rispettivi personaggi, su tutti, in negativo, un poco credibile Stefano Dionisi. La sensazione è quella di un’idea interessante, impreziosita da atmosfere poco usuali nel nostro cinema, ma anche di un’occasione mancata.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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