La felicità degli altri: la recensione della commedia con Vincent Cassel e Bérénice Bejo
Fino a che punto siete veramente contenti del successo inatteso della vostra migliore amica? La risposta de La felicità degli altri è agrodolce, in una commedia a quattro recitata da Vincent Cassel, Bérénice Bejo e due cavalli di razza come Florence Foresti e François Damiens. Il film è al cinema dal 24 giugno.
Se gli amici sono spesso la famiglia che si sceglie, che amici siete, voi? Sapete realmente gioire dei successi delle persone a voi più care, oppure gli state vicino solo quando le cose gli vanno male? La felicità degli altri è una commedia piacevole, tratta da una pièce teatrale di grande successo in patria, ma è anche capace di lasciare un retrogusto malinconico, mettendo in discussione le proprie certezze, magari portandoci a guardare in maniera diversa, o quantomeno dubbiosa, le amiche o gli amici con cui siamo andati al cinema a vederlo.
Inserito nell’alveo del cinema francese che riflette sui sentimenti, magari a Cena tra amici, per rievocare il titolo italiano del classico contemporaneo Le prénom, sempre nato a teatro, il film parte proprio con una lunga sequenza a tavola. Un momento al centro del titolo della pièce, L'Île flottante, come uno dei dolci nazionali transalpini, intorno al quale ruota un’esposizione buffa delle peculiarità caratteriali di due coppie a tavola. Sono grandi amici, le due donne lo sono fin dai tempi della scuola. Bérénice Bejo è Léa, insicura e incapace di prendere una decisione, anche se si tratta di confermare l’ordinazione di un dolce quando gli altri lo saltano. Lavora come commessa in un negozio di abbigliamento in un Centro commerciale parigino. Nel suo lavoro è molto brava, e il suo capo, interpretato dal regista del film (e autore della pièce), Daniel Cohen, l’apprezza e la sta raccomandando per un posto di manager in un negozio più grande della stessa catena. Ha il dono di conoscere la natura delle persone, che siano clienti dubbiosi sul taglio sartoriale di una giacca o l’infinita umanità che affolla le scale mobili e i corridoi del centro commerciale. Il marito è Marc, Vincent Cassel, un impiegato di medio livello in una fabbrica di alluminio, quadrato e insoddisfatto per una promozione sempre in attesa di arrivare.
Un giorno, proprio in quella famosa cena, Léa confessa che sta scrivendo un libro, dopo aver riempito per anni quaderni di note sugli abitanti in transito che incrocia ogni giorno. Lo sta incoraggiando un noto scrittore, un vero mostro sacro, che ha letto le prime cose e su Facebook la invita a continuare, con parole promettenti. Già a questo punto la reazione dell’amica è ben poco empatica, specie tornando a casa col marito. Sostiene che i commenti del “vecchio” siano dettati dalla libido e che a scuola non era certo brava a scrivere come lei, Léa. Solo l’inizio di un percorso distruttivo della loro amicizia, in cui Karine e Francis, gli amici, si mettono in testa, per reazione, di scrivere un libro - lei - e dedicarsi all’arte - lui.
La gelosia e l’invidia alimentano una specie di competizione tragicomica in cui è evidente come i due, e in fondo anche il marito, Marc, non abbiano il talento per sostenere queste rinnovate ambizioni, alimentate da un’invidia che non li porta a gioire semplicemente per il successo che presto trasforma Léa in una scrittrice di successo. Anzi, si rovinano la vita rodendosi nel profondo. Accusano l’amica di essere cambiata, quando lei rimane invece rispettosa e molto umile; sono loro a dimostrare evidenti limiti e mediocrità.
Fortuna, però, che la coppia a cui è affidato il compito di esplicitare questi tentativi di dimostrarsi all’altezza dell’amica è composta da due fuoriclasse della commedia come Florence Floresti e François Damiens, capaci di dare spessore alle loro invidie meschine, di tratteggiare personaggi, non caricature. Altrettanto in forma sono gli altri due: un Cassel ingrigito con evidente piacere, suo ma anche nostro, e una Bejo sempre solare, anche in un ruolo apparentemente senza cedimenti rispetto a una positività manifesta.
La felicità degli altri è una commedia che dice le cose più interessanti quando, al di là dei sorrisi o delle risate di superficie, scarnifica le piccolezze umane dei suoi (tre) personaggi, con un salutare campanello d’allarme: le ambizioni sono libere per tutti, ma il talento spesso interviene a tenerle a bada.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito