La belle époque: recensione della commedia sentimentale di Nicolas Bedos con Fanny Ardant e Daniel Auteuil
Un viaggio fra presente e nostalgia del passato piena di nostalgia e passione.
Il tempo e gli scompensi che provoca in una coppia nel corso di una vita intera, o quasi. Sembra questa l’ossessione di Nicolas Bedos, quando si cimenta con il cinema. Perché parliamo di un artista poliedrico e dai molteplici narcisismi, oltre che talenti: dal teatro alla letteratura, dalla televisione alla radio, e in generale come opinionista ad ampio raggio. Una cosa però unisce la maniera in cui affronta ogni suo interesse, la passione con cui prende rischi, sceglie l’epico preferendolo all’intimo, si confronta con storie lunghe decenni, non limitate nel tempo. Una megalomania che nasconde grande ambizione, ma si poggia su un talento che sta venendo sempre più fuori, come dimostrato dai suoi (primi) due film. Un amore sopra le righe, l’esordio del 2017, raccontava la storia d’amore lungo quarant’anni fra due scrittori, fra alti e bassi e reciproche invidie.
Erano proprio Bedos e la sua co-sceneggiatrice, nonché compagna, Doria Tellier, a interpretare i due amanti, mentre questa volta, in La belle époque, l’amore è raccontato nel presente di due sessantenni, Victor (Daniel Auteuil) e Marianne (Fanny Ardant), che si proiettano verso il passato nostalgico dei giorni in cui si conobbero. Anzi lui vuole riviverlo, quel 16 maggio 1974, dopo essere stato brutalmente mollato dalla moglie, con tanto di ricostruzione fedele e una regia che rispetti i suoi ricordi, non solo sognandolo nostalgicamente. C’è infatti una società, gestita da un tale Antoine (Guillaume Canet) che offre questo servizio: mettere in scena, a prezzi non modici, quello che si vuole, che sia una strage liberatoria per sterminare la nobiltà francese razzista o, appunto, la magia della scintilla che fece nascere l’amore di una vita.
Victor, quindi, è un nostalgico che guarda al passato, non casualmente nella vita disegna fumetti e rinnega il digitale e ogni innovazione che lo porti verso il futuro, che è invece l’orizzonte verso cui tende Marianne, appassionata di ogni innovazione. Il titolo rimanda, certo, al momento in cui l’amore nasce, ma anche a una certa fantasmatica era in cui non c’era l’attuale isterizzazione nel rapporto con la tecnologia, tipico di oggi, che Bedos mette chiaramente alla berlina. Quello che non fa nei confronti dell’amore, che conferma per lui essere sacro e con cui non si scherza, in qualsiasi forma si esprima, tanto che il ritorno della passione nelle vene e nel cuore può essere ben visto anche se si palesa, dopo anni silenti, sotto forma di gelosia.
Antoine è il burattinaio che mette in pratica questi rimpianti nostalgici, il regista del film nel film, quello che vive l’ossessione delle ossessioni di tutti i clienti che a lui si rivolgono, tanto da non distinguere più quello che è realtà da quello che è finzione. La belle époque sgorga energia, passione per la vita e l’amore, in un tourbillion divi sentimenti contraddittori, di cui non si può ricordare il dolce senza potersi permettere di dimenticare l’amaro. Quando ci si affida alla ricostruzione del passato, lo si fa ricordandosi sempre che si tratta di una scenografia, non di una pretesa realtà. In questo si vede la mano frenetica di Bedos, abile in questo caso a non trascendere mai, mantenendo il racconto entro una partitura musicale libera, ma non cacofonica, in un fluido racconto divertente e spiazzante, malinconico eppure sempre vivace e, soprattutto ottimista. La sua nostalgia non è sterile passatismo, ma un sentimento che rivendica il ricordo per non rovinare quello che si ha, per aggiustare l'amore e la propria vita in un'epoca di obsolescenza programmata. Una nostalgia, insomma, che ci guida verso il futuro.
Un’apologia della vita, come Bedos stesso definisce il suo film, ma soprattutto della sensibilità, di chi vive in pieno, senza scorciatoie o tremori.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito