La Banda Baader Meinhof - la recensione
Epico racconto, non sempre storiograficamente corretto, della sanguinosa parabola della Banda Baader-Meinhof, il gruppo che fondò la RAF (Rote Armee Fraktion) e diede il via alla stagione del terrorismo rosso tedesco.
La Banda Baader Meinhof - la recensione
Quella del regista tedesco Uli Edel è un’operazione complessa ed ambiziosa. Sintetizzare, seppur in due ore e mezza, la ventennale parabola della banda Baader Meinhof, il gruppo che fondò la RAF, non è di certo cosa facile. Anche (e forse soprattutto) considerando i rischi insiti nel trattare un argomento così spinoso ed ancora incandescente – data la sua relativa “freschezza” – da un punto di vista storico e di onestà intellettuale ed ideologica.
La chiave scelta da Edel è quella della spettacolarizzazione, di una lettura cinematograficamente industriale e quasi hollywoodiana di fatti e personaggi. Di un film che mira primariamente al cinema lasciando che le considerazioni storiche ed ideologiche passino (apparenetemente) in secondo piano. Apparentemente perché il suo film nasce dalla collaborazione con lo scrittore Stefan Aust, autore di un libro inchiesta del 1985 considerato il testo più autorevole sull’argomento. E perché certi temi non possono non assumere una rilevanza non secondaria.
Vuoi per l’approccio di Edel, vuoi per il materiale di partenza, La banda Baader Meinhof segue un approccio quasi cronachistico, ma questo non ha però impedito che il film suscitasse in patria aspre polemiche sulla sua validità storiografica e anche sulle sue ambiguità ideologiche.
Sul primo punto sarebbe necessario avere una conoscenza più approfondita sull’argomento per giudicare: certo è però che la narrativa di Edel è di grana piuttosto spessa – vuoi per il gusto del regista, vuoi per esigenze spettacolari – e conseguentemente qualche dubbio sulla correttezza ideologica del film potrebbe nascere, ferma restando l’assoluta condivisibilità della condanna di ogni atto di lotta terrorista. Va bene mostrare Baader & co. come pazzi farneticanti, ma gli eccessi grotteschi non giovano a nessuno e a nessuna “causa”.
Proprio in questa superficialità delle psicologie risiede il più grande limite di un film che, proprio per la sua vocazione spettacolare, s’impantana spesso in retoriche da sceneggiato.
Resta, inquietante, la descrizione iniziale del “brodo di cultura” e della situazione sociale e politica che portò alla nascita della follia terrorista. Una descrizione drammaticamente simile alla realtà dei nostri giorni.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival