L'uomo d'acciaio - la recensione del cinecomic su Superman

17 giugno 2013
2.5 di 5
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Il Superman di Zack Snyder fatica a spiccare il volo, penalizzato da lunghe sequenze d'azione e dal mancato sviluppo di tematiche forti

L'uomo d'acciaio - la recensione del cinecomic su Superman

Dalla collaborazione fra due o più geni dell'universo cinematografico può nascere un capolavoro che beneficia della genialità creativa di entrambi, oppure un insieme di elementi diversissimi che restano imprigionati in una matassa impossibile da districare e che non vengono sviluppati adeguatamente.
L'uomo d'acciaio, l'attesissimo film su Superman diretto da Zack Snyder, prodotto da Christopher Nolan e sceneggiato da David S. Goyer sembra appartenere più a questa seconda categoria.

Anche se lo stesso Zack Snyder giura di aver avuto il final cut e di aver messo, in questo kolossal da 143 minuti, tutto quello che aveva urgenza di raccontare e di mostrare, l'impressione è che il regista di Sucker Punch non abbia in realtà potuto imprimere il suo marchio, sviluppando una serie di tematiche complesse come il libero arbitrio contrapposto all'ineluttabilità di un destino già scritto, la tecnologia in quanto minaccia alla salvaguardia dell'ambiente, la diversità percepita come alienazione.

Mettendosi sulla strada della reinvenzione nolaniana del supereroe, che diventa dolente antieroe non necessariamente vittorioso, Snyder si è lanciato nel suo primo film completamente privo di ironia, una sorta di anti-300 o anti-Watchmen lontanissimo dal Superman di Richard Donner e ancora di più dalla sua reinterpretazione firmata Bryan Singer.
Questa sceltà, però, non si rivela fra le più felici, perchè, senza quell'ironia che costituisce per esempio il sale di The Avengers di Joss Whedon o dell'ultimo Star Trek, il personaggio si appesantisce e perde la sua verve.

Lungi dal possedere la complessità di Batman, l'uomo dal costume rosso e blu rivendica la sua unicità di supereroe alieno diventando un outcast. Già prima che il film trovasse il suo regista, Kevin Smith non la giudicava una buona idea. Noi siamo d'accordo a metà, perché con il giusto approfondimento psicologico un Superman un po' X-Man avrebbe funzionato. Invece il personaggio, e con lui Lois Lane e il Generale Zod, diventano le comparse di un mega-spettacolo in cui la ribalta è tutta per le sequenze di combattimento, che, pur potendo contare su avanguardistiche tecnologie, sono di una lunghezza estenuante.
Perfino lo scontro finale fra L'Uomo d'Acciaio e Zod si protrae all'infinito, sposando la tendenza sempre più diffusa fra i blockbuster Hollywoodiani a sviluppare l'azione a detrimento di qualsiasi altra cosa, il tutto sullo sfondo di una devastazione urbana in stile The Day After o 11 settembre.

Laddove invece il film convince è nella regia e nella fotografia. Zack Snyder cerca il realismo, la concretezza. L'agitazione interiore di Superman ha il suo corrispettivo nella macchina a mano, la sua sbiadita identità è invece tutta in una fotografia desaturata. L'unica nota di colore in questo universo grigiastro nel quale nessuno se la passa troppo bene, e anche l'unico guizzo di testosterone, è il costume di Superman, che se non altro ci lascia ammirare il fisico atletico di Henry Cavill.

E poi c'è Russell Crowe, che presta il volto e la sua splendida voce al personaggio più bello, un padre pieno di pietas cristiana che sacrifica tutto per un figlio che a 33 anni dovrà portare nel mondo dell'aldiquà pace, salvezza e soprattutto speranza.
Questa storia non l'abbiamo già sentita?



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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