L'isola dell'angelo caduto - la recensione del film di Carlo Lucarelli
L'esordio nella regia di uno dei più noti narratori letterari e televisivi del nostro paese.
Carlo Lucarelli è uno di quegli scrittori che conoscono un po’ tutti, anche quelli che magari non han mai letto una riga dei suoi gialli o dei suoi noir. Vuoi perché lo conoscono come conduttore di “Blu notte”, vuoi perché spettatori di alcune delle fiction tratte dalle sue opere, come “L’ispettore Coliandro” o “Il commissario De Luca”.
E, considerata questa “multimedialità”, che Lucarelli fosse destinato ad un esordio nella regia in qualche modo era nell’aria.
Trasposizione di uno dei suoi romanzi più noti, L’isola dell’angelo caduto è sceneggiato, ovviamente, dallo stesso Lucarelli assieme ai fidi Giampiero Rigosi e Michele Cogo, e vede protagonista quel Giampaolo Morelli che già è stato il volto televisivo di Coliandro.
Già da questi dati si può simbolicamente intuire la sostanza dell’esordio registico di Lucarelli: un esordio che ha dalla sua la storia, la scrittura, i personaggi, ma che è penalizzata da un immagine e da una regia eccessivamente modellati su quelle del piccolo schermo italiano.
C’è da ammettere che il neo-regista non ha avuto timore di osare e di prendersi le sue responsabilità. Perché la storia - ambientata su di una sperduta isola-prigione nei giorni immediatamente successivi al discorso che Mussolini tenne in Parlamento sul delitto Matteotti il 3 gennaio del 1925, e caratterizzata da una curiosa mescolanza tra indagini poliziesche, questioni politiche ed elementi esoterici - è raccontata con uno stile che tenta costantemente l’astrazione e cerca di omaggiare spesso e volentieri la grande tradizione gotica del cinema italiano e, forse, molto cinema di genere americano.
Osare, però, non significa necessariamente riuscire.
Saper narrare, con le parole (scritte o parlate che siano), come Lucarelli sa indubitabilmente fare, non significa necessariamente possedere la stessa abilità di farlo tramite le immagini.
L’isola dell’angelo caduto è quindi il tentativo di un bravo narratore di diventare un bravo regista, un film limitato da una certa rigidezza e un’occasionale goffaggine, che disperde in una messa in scena non all’altezza un materiale che mescola storie e Storia e che avrebbe meritato di più.
Onesto, sincero ma scentrato.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival