L'intervallo - la recensione del film di Leonardo Di Costanzo
Il documentarista napoletano esordisce nel cinema di finzione con una storia intima, realistica e sognante.
La questione del reale, nel cinema, è da sempre spinosa. Ancor di più in un cinema italiano che è rimasto succube e abbagliato dagli splendori del neorealismo e che, per anni, ha tentato di replicarli fraintendendone la lezione.
Allora poteva essere rischioso, sulla carta, il film d’esordio nella finzione di un documentarista napoletano che sceglie di raccontare la storia di due adolescenti - l’una prigioniera, l’altro guardiano - costretti da un boss del loro quartiere a trascorrere una giornata in un ex ospedale diroccato, in attesa che questi si presenti e si confronti con la ragazza per rinfacciarle un sgarbo inaccettabile.
E invece Leonardo Di Costanzo sorprende e convince, con un film che scarta la più becera tradizione pseudo-documentaristica e abbraccia quel realismo tutto proteso verso le infinite possibilità del racconto (plausibile, ma anche fantastico) che sono proprie di film come, ad esempio, Reality di Garrone.
L’intervallo (ed è il titolo stesso a suggerirlo) lascia che il portato sociale di realtà dei due giovani protagonisti, che il regista ha selezionato da un corso speciale da lui stesso organizzato, rimanga confinato all’esterno di una parentesi che, pur sentendolo riecheggiare, rappresenta una fuoriuscita dalla vita normale e la possibilità di un’esplorazione personale e reciproca altrimenti impossibile.
Grazie anche alla scelta di una location inquietante e magnifica al tempo stesso (un ex ospedale psichiatrico in abbandono, luogo di peregrinazioni fisiche e metaforiche) e alla fotografia del solito, bravissimo Luca Bigazzi, Di Costanzo lascia infatti che sia il lato umano e intimo di Veronica e Salvatore – caratteri opposti, destini forse contrastanti, ma tante analogie – a risaltare ed esplodere. Lascia che si annusino, si scoprano, si piacciano dentro un mondo che il loro non è. E, così facendo, lascia che l’esterno viva nelle pieghe e nei riflessi.
Non è un caso allora che i momenti più belli e toccanti de L’intervallo siano quelli in cui il sogno, la fantasia, la sospensione della realtà dei due protagonisti vengono abbracciati con entusiasmo forse infantile ma puro e poetico. Perché è lì che viene contenuto, anche, il dramma del ritorno ineluttabile ad una vita cui Veronica e Salvatore sono tristemente, e sempre coscientemente, predestinati.
E così, ecco che il film di Di Costanzo dice più sulla camorra di tanti film che hanno preteso di raccontarla in modi solo apparentemente più espliciti e interni.
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- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival