L'Erede - la recensione del film
E' sempre interessante assistere al debutto cinematografico di un giovane autore: scoprirne i modelli, i riferimenti, le ambizioni.
L'erede - la recensione
E' sempre interessante assistere al debutto cinematografico di un giovane autore: scoprirne i modelli, i riferimenti, le ambizioni. In un paese come il nostro, ogni nuova uscita è un piccolo evento, i film di sconosciuti faticano a trovare budget e distribuzione, le sceneggiature si concretizzano spesso solo grazie alla tenacia e alla passione degli autori, a colpi di fortuna, al coraggio di produttori che sanno già che nel 90 per cento dei casi non rivedranno un euro dei soldi investiti. Sarebbe interessante, alla luce del curriculum di una distribuzione come Irisfilm (14 opere prime portate al cinema in 2 anni), indagare su quanti talenti sommersi ci siano in questo momento in una cinematografia che preferisce puntare sul sicuro, sugli attori di richiamo, le solite storie, le stesse commedie.
Michael Zampino, esordiente al lungometraggio con L'erede, tutto questo non lo fa. Sceglie un soggetto di “facile” realizzabilità (location unica, attori poco noti o poco utilizzati dal cinema), e con il determinante appoggio di uno sceneggiatore esperto come Ugo Chiti (che ha scritto, non va dimenticato, un piccolo gioiello come la commedia nera sui parenti serpenti Benvenuti in casa Gori) confeziona un film di genere molto curato e – sia pure con qualche momento prevedibile – scorrevole e con belle atmosfere.
E' tutt'altro che facile, in realtà, riuscire a catturare l'attenzione dello spettatore per un'ora e mezzo, con una storia che ruota attorno a 4 personaggi rinchiusi in un'unico ambiente. Zampino ci riesce, e dunque siamo disposti a perdonargli anche qualche ingenuità e la non eccessiva originalità della storia. L'atmosfera da fiaba, voluta e accentuata dalle scene notturne e dalla costante presenza dei conigli, contrappunto e muti testimoni delle violente schermaglie umane (e pretesto per una bella scena che farà rabbrividire i più sensibili), non ci evita il paragone con la realtà sociale di un paese in cui, soprattutto in provincia, il possesso o la difesa della “roba” scatenano reazioni omicide e lotte fratricide.
E' bello il personaggio di Paola, la donna che rivela a Bruno, venuto a prendere possesso della villa ricevuta in eredità, un lato a lui sconosciuto della vita del padre. Ci piace la sua rabbia, la sua voglia di rivalsa, e soprattutto ci è piaciuta la passionale interpretazione di Guia Jelo, che riesce a dare vita con grande abilità a un personaggio di madre padrona, una donna che vuole una ricompensa terrena, ora e subito e con qualsiasi mezzo disponibile, per i debiti che crede di avere contratto con la vita. Era un ruolo che avrebbe potuto facilmente sconfinare nel grottesco, ma anche nei momenti più forti l'attrice riesce a mantenerne il controllo. Sorprendente anche Davide Lorino nel ruolo del figlio rozzo e violento Giovanni, un concentrato di muscoli e carne che fa paura fin dalla sua entrata in scena, mentre mangia delle noci, aprendole con le mani. Un ruolo talmente diverso dalla fisicità di questo giovane attore che, come dicevamo all'inizio, fa rimpiangere ulteriormente la mancanza di un cinema che dia più spazio a caratteristi di valore, capaci di trasformarsi letteralmente nel personaggio che interpretano. Hanno forse meno materiale su cui lavorare i pur bravi Alessandro Roja e Tresy Taddei Takimiri, nei ruoli di Bruno e Angela, limitati dal prevedibile coinvolgimento amoroso tra i personaggi.
Accompagnato da un bel tema musicale di Riccardo Della Ragione, L'erede lascia ben sperare per le future prove di Michael Zampino, un regista che, che al suo sospirato esordio, è riuscito a non farsi sopraffare dalle proprie (evidenti) ambizioni.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità