L'alba del pianeta delle scimmie - la recensione del film
Prima erano gli zombie, poi gli alieni e non per ultimi i robot. Ora tocca ai nostri progenitori invadere il mondo. L'alba del pianeta delle scimmie si allinea al modello del genere in cui la razza umana soccombe. Ma l'evoluzione del cinema è altrove.
L'alba del pianeta delle scimmie - la recensione
La Terra si appresta a cambiare proprietario. Di nuovo.
Prima erano gli zombie, poi gli alieni e non per ultimi i robot. Ora tocca alle scimmie invadere il mondo. L'alba del pianeta delle scimmie si affianca agli altri titoli del genere in cui la razza umana soccombe. Il film è di fatto il remake di 1999: conquista della Terra, terzo capitolo della saga del Pianeta delle scimmie realizzato nel 1972 che già all'epoca narrava i fatti antecedenti al capostipite. Ogni pezzo che si aggiunge non fa altro che rafforzare il culto del primo memorabile film con Charlton Heston dilatando maggiormente il distacco dai seguiti, le riletture e i riavvii. Già Tim Burton si era fatto convincere nel 2001. Dirigendo il remake di questo classico non ha fatto altro che firmare la regia più impersonale della sua carriera.
Scimmie, scimpanzé, oranghi e gorilla hanno un corredo genetico di poco inferiore a quello umano. Servirebbe dargli una spintarella per fare il salto. Ci pensa lo scienziato Will Rodman (James Franco) che lavora ad un siero capace di stimolare i recettori cerebrali. Le scimmie non sono altro che le cavie del farmaco la cui destinazione ultima è l'uomo. Intanto quella distanza genetica viene colmata e Cesare, uno scimpanzé che il Rodman ha adottato e cresciuto, si scopre essere intelligente persino più degli uomini, quei loschi, biechi e sadici individui che imprigionano gli animali. Questo si rivela un'arma a doppio taglio per film che sfodera una sceneggiatura con esseri umani tra i più stupidi e banali che il cinema ricordi. A parte James Franco che combatte tra scienza, etica e problemi di salute in famiglia, gli altri personaggi sono schedati nel più prevedibile dei modi, a dispetto delle buone intepretazioni di John Lithgow e Brian Cox. La stessa Freida Pinto si limita a fare poco più che la comparsa.
L'alba del pianeta delle scimmie si allinea allo standard dell’intrattenimento ad alto budget. Questo nuovo tentativo di far ripartire la saga arriva sull'entusiasmo dei progressi in computer grafica. Niente più make-up sugli attori, soltanto sensori per la motion capture sul solito Andy Serkis ed altri suoi emuli e animazioni digitali integrate alla perfezione. Sul fronte degli effetti speciali e dello spettacolo non ci si può lamentare, si sa che Hollywood è una garanzia in tal senso. Rincresce doversi accontentare di una storia elementare che abbozza una campagna contro la vivisezione e sorvola sulle sottotracce sociopolitiche toccate ampiamente dai precedenti film. È anche vero che una ripartenza implica un nuovo approccio. Questa versione intraprende la strada del plausibile con molte spiegazioni sommarie e pochi dettagli che rischiano di allentare la tensione ancor prima che l'arco si tenda. Occorre aspettare per aggrapparsi alla poltrona quando questo attesissimo caos infine arriva, sottoforma di guerriglia urbana tra primati e poliziotti. Il quoziente intellettivo delle scimmie passa in pochi minuti da "puzzle 1000 pezzi" a "Einstein", quello degli uomini non si è mai mosso dal livello "bambino di 8 anni". L'evoluzione della specie scimmiesca non rivoluziona il cinema. Lo intrattinene fino al prossimo episodio.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web