L'Affido - Una storia di violenza: recensione del film di Xavier Legrand in concorso al Festival di Venezia 2017

08 settembre 2017
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Un divorzio aspro, un figlio di mezzo, l'ombra inquietante di un maschile ossessivo e violento.

L'Affido - Una storia di violenza: recensione del film di Xavier Legrand in concorso al Festival di Venezia 2017

L’esordio di Xavier Legrand è uno di quei film che scelgono di raccontare una storia impegnata, di affrontare un tema. E che trovano in questa scelta sia i loro limiti che gli spunti migliori.
C’è da dire che che questo giovane regista francese non si è dimenticato che impegno e tematiche non sono e non devono mai essere sostitutive della giusta attenzione alla lingua e alle esigenze del cinema. E va anche ammesso che, così facendo, L'Affido - Una storia di violenza riesce a essere sia dramma che thriller capace di lasciarti uno sgradevole senso di minaccia e di fastidio addosso.

È il corpaccione da orco di Denis Ménochet, l’elemento perturbante e minaccioso del film.
È lui a interpretare un marito che non accetta il divorzio, che viene accusato da moglie e figli di essere violento e ossessivo, pericoloso, tanto che i ragazzini non lo vorrebbero vedere, ma la giudice non la pensa allo stesso modo e impone i classici weekend di visita.
Se le accuse che gli sono rivolte sono vere o meno, lo scopriremo solo nel teso finale: e Legrand fa quello che può, usando consolidati trucchi di sceneggiatura, per cercare di dissimulare più a lungo che può la vera natura di quell’omone che fa un po’ paura, ma che piange anche come un bambino.  

La lotta tra Ménochet e l’ex moglie Léa Drucker viene combattuta prima di tutto sul terreno fragile rappresentato dal figlio undicenne Julienne, interpretato da un bravissimo Thomas Gioria. Un bambino che cerca di tenere duro, e che diventa l’involontario tramite tra i due genitori, spaesato e terrorizzato testimone del precipitare degli eventi.
Si potrebbe dire che è molto facile creare empatia quando si utilizza la fragilità dell’infanzia a scopi drammaturgici: chi non ha un sussulto di fronte a un bambino, forse, in pericolo, chi non prova dolore a vederlo nel mezzo di confronto aspro, di cui non dovrebbe essere nemmeno testimone?
Però Legrand e capace di tenere il suo film piuttosto asciutto ed essenziale, e se cadute nella retorica ci sono, sono sporadiche e molto fugaci.

L'Affido - Una storia di violenza non la sventola, la bandiera dell’impegno. Non la usa come arma ricattatoria nei confronti dello spettatore. Si limita ad esporre i fatti di una storia, mescolandoli qui e lì con gli ingredienti richiesti dai generi coi quali si confronta: e questo gli fa onore. Per questo si chiude volentieri un occhio su certe ingenuità, o su piccole insistenze che penalizzano l’ambiguità che il regista tenta di mantenere lungo il film, come su una certa sua esilità di fondo.
Non sarà un film che ricorderemo a lungo, quello di Legrand, ma che fa la sua cosa con dignità e una certa qual eleganza.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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