Jimmy P. - la recensione del film con Benicio Del Toro e Mathieu Amalric
Dire "diffidate dei film che cominciano affermando di essere tratti da una storia vera" è oramai un luogo comune. Ma, come tutti i luoghi comuni, nasconde spesso in sé una verità intrinseca che la legittima. È questo il caso di Jimmy P., primo film in lingua inglese di Arnaud Desplechin
Dire “diffidate dei film che cominciano affermando di essere tratti da una storia vera” è oramai un luogo comune. Ma, come tutti i luoghi comuni, nasconde spesso in sé una verità intrinseca che la legittima.
È questo il caso di Jimmy P., primo film in lingua inglese di Arnaud Desplechin, che oltre alla lingua ha cambiato anche stile, tanto da rendersi irriconoscibile ai suoi estimatori come ai suoi detrattori.
Quello che racconta la storia della terapia psicanalitica cui Georges Devereux sottopose un reduce della II Guerra Mondiale nativo americano nell’immediato dopoguerra, e che fu alla base di numerosi, seminali intrecci tra antropologia e psicanalisi, è infatti un film del tutto privo di ogni connotazione registica. Un film appiattito dal carico di retorica, incapace di veicolare interesse umano per i personaggi che racconta così come suscitare un già dubbio interesse “scientifico” per le modalità della terapia.
Trasformatosi in anonimo shooter, Desplechin annega il suo film e l’attenzione di chi lo guarda in un mare di belle inquadrature, immagini oleografiche, alternanze di sequenze al presente e flashback, espressioni sofferte di Benicio Del Toro e macchiettismi di Mathieu Amalric.
I due attori, che pur sono due signori attori, sembrano confusi e mal diretti, e di certo non riescono a rappresentare il salvagente che possa salvare la barca Jimmy P.: Del Toro appare penalizzato da un ruolo che comunque lo vede occupare ogni inquadratura, mentre ad Amalric mancano spessore e sostanza del suo un personaggio di spessore, nonostante alcuni goffi tentativi di background sentimentale.
Insipido e stantio, il polpettone americano di Arnaud Desplechin risulterà indigesto a molti palati, incapace di soddisfare quelli raffinati, troppo ambizioso e troppo poco spettacolari per gli amanti del junk food cinematografico.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival