Indizi di felicità: recensione del documentario di Walter Veltroni
Al suo terzo film, l’ex politico si interroga su uno stato emotivo che nei nostril tempi cupi sembra irragiungibile.
"Mi ricordo che una mattina mi sono svegliata e ho pensato: ecco questo è il preludio della felicità, solo l’inizio. Non mi ha sfiorato il pensiero che non fosse il preludio, ma la felicità stessa".
"La felicità è reale solo se viene condivisa".
"La felicità è essere contenti di ciò che si è".
Ecco tre belle definizioni tutt’altro che dogmatiche e filosofiche del concetto di felicità. La prima, che forse è la più commovente, arriva dalla Clarissa di The Hours, la seconda è di Christopher McCandle (personaggio realmente esistito raccontato da Sean Penn in Into The Wild), mentre la terza - forse già sentita ma più autentica perché non sostenuta dalla finizione letteraria o cinematografica né dal mito di un outsider - viene da una delle tante meravigliose persone comuni che Walter Veltroni ha intervistato in Indizi di felicità, documentario che ricorda il precedente I bambini sanno, di cui replica la struttura.
Proprio così: con il garbo, l’empatia, la gentilezza e l’incanto che distinguono il suo avvicinamento all’altro, l'ex politico compie ancora una volta un’indagine "dal basso" sul nostro tempo per unire i puntini di un’umanità che - nonostante il dolore di un’infanzia disgraziata, di una malattia devastante e addirittura delle torture subite in un campo di concentramento - è soddisfatta di quello che è diventata e che per lasciarsi cogliere, magari non dall'ebbrezza, ma da una confortante serenità, si accontenta di guardare il soffitto della propria camera da letto o di contemplare i rami frondosi di un pioppo.
Ecco cosa vuole dimostrare Indizi di felicità: che in tempi di passioni tristi esiste ancora qualcuno che nell’orto del proprio cuore coltiva la speranza e che in un mare tempestoso di difficoltà galleggia con un guscio di noce alla ricerca di un’isola di infinite possibilità. L'essere umano è un lottatore insomma, e, anche se il messaggio non è nuovo, Veltroni fa bene a rivendicare, da documentarista e da uomo, l'urgenza di ricordarlo e di testimoniare a che punto siamo dentro ai nostri cuori.
Dispiace però che, in questo caleidoscopio di esistenze, ad essere meno rappresentate siano le disgraziate generazioni di mezzo, che non trovano lavoro e hanno ben poco di cui rallegrarsi o a cui appassionarsi. A loro, il regista sembra prediligere uomini e donne che hanno attraversato tempi di minor svuotamento ideologico e di assenza di senso, piccoli eroi che hanno avuto l’opportunità di amare per tutta la vita la stessa persona e di avere qualcosa da tramandare. Va da sé, allora, che, fra le commoventi interviste ad anziani che confessano di aver toccato il cielo con un dito nel giorno del proprio matrimonio e un montato iniziale di immagini delle tragedie recenti che hanno colpito il nostro mondo, si faccia strada una domanda: c'è davvero una speranza per i ragazzi? Per ciò che diventeranno i piccoli prodigiosi protagonisti del documentario che ha preceduto Indizi di felicità? Chissà. Forse saranno loro i protagonisti del quarto film di W.V..
Sempre a proposito de I bambini sanno, dobbiamo confessare che quell'incursione nelle camerette di tanti bambini che raccontavano il mondo attraverso i loro occhi tutt'altro che ingenui ci ha regalato qualcosa in più rispetto a Indizi di felicità, forse una riflessione più puntuale sulla nostra società, un'analisi più profonda. Anche il montaggio era più curato. Qui i tanti racconti intimi sembrano a volte assemblati alla rinfusa, perché più della forma importa il contenuto e prima vengono i personaggi, in questo caso larger than life e indimenticabili, e poi la regia.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali