In prima linea: recensione del film francese che racconta di una giovane donna in Marina
In prima linea è il secondo film come regista dell'attrice Hélène Fillièresè e racconta sobriamente, quasi rigidamente, di una giovane donna che si arruola quasi per caso e del suo rapporto con il comandante della scuola navale.
In Marina non ci sono uomini o donne, ma solo combattenti. È questa la frase chiave di questo originale racconto di formazione su una giovane donna che, casualmente, entra come volontaria nei ranghi della Marina, per poi farla diventare una passione se non un’ossessione che la spinge a inseguirla come carriera a lungo periodo.
In prima linea, opera seconda dell’attrice Hélène Fillièresè, è anche e soprattutto una storia d’amore rigorosamente casta, quella fra la giovane recluta Laure, una Diane Rouxel convincente e da tenere d’occhio, e il comandante, l’eclettico Lambert Wilson. Un rapporto duro e fatto di sguardi e di poche parole, ma in cui in qualche modo entrambi trovano un’ispirazione e lo stimolo per cambiare qualcosa nelle loro rispettive vite, per prendere atto probabilmente di qualcosa ancora non messo perfettamente a fuoco.
In prima linea è per l’appunto un film di regole e rigore, di divise numerate e inamidate, di rigidità e sincera passione, che è uno dei pregi che ne disegna l’originalità, ma anche uno dei limiti, di un film che rimane sempre in porto, che non decolla mai, spaventato di violare qualche regola e quindi disposto anche per questo all’immobilismo. Un paradosso, visto che racconto pur sempre della rottura di una consuetudine, seppur sempre con rispetto delle regole, quella che non vuole le donne in prima linea, o quantomeno impegnate in prove fisiche e sul campo, e non solo su una scrivania a preparare uno studio o a stilare un rapporto.
Laure ha 23 anni e due master alle spalle, in inglese e russo. La madre è un’attrice nota di teatro (interpretata da Josiane Balasko), e ha mandato una serie di curriculum senza saper bene che direzione prendere e cosa aspettarsi; ma la Marina è stata veloce a rispoderle. Tutto qua, o almeno fino a che arriva in Bretagna e prende possesso di un ufficio contiguo al comandante e si occupa “di scartoffie burocratiche senza alcuna importanza”, come gli dice proprio il suo superiore quando la manda a superare un corso, “con i voti migliori, mi raccomando”, e che sembra trovare qualcosa in lei, nella sua freddezza e cocciutaggine, nei suoi sorrisi inattesi e nel abbassare la testa.
In prima linea è lo studio fra due persone che si sfidano e trovano qualcosa di inatteso in comune, di troppo personale per vincere la loro rigida interpretazione dei rapporti gerarchici ed esprimerlo a parole. Laure è in cerca, e si trova proprio “inquadrandosi” nella divisa, trovando una struttura all’interno della quale esprimersi, una via da percorrere. Una storia che supera stereotipi sulla donna sotto le armi, esplorando un mondo con molta discrezione e una sensibilità sincera. Non ci sono vittime o carnefici, i riti di passaggio sono prima interiori che misurabili superando un muro o strisciando nel fango.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito