Il viaggio degli eroi, la recensione: la storia epica, emozionante ed esemplare della nostra terza Coppa del mondo
Fa piacere rivivere sul grande schermo con Il viaggio degli eroi una storia che pensavamo di conoscere in tutti i risvolti, quella della storica vittoria della coppa del mondo di calcio nel 1982, ma che offre ancora emozioni e sorprese. La recensione di Daniela Catelli.
Come cantavano un tempo i mai troppo rimpianti e politicamente scorretti Squallor, “era uno di quegli eventi che cambiano il corso della storia e voi potrete dire: c'ero anch'io"'. Bene, probabilmente la finale del Mundial spagnolo del 1982 non avrà avuto questa rilevanza sull'evoluzione della società umana, ma di sicuro chi c'era, piccolo o adulto che fosse, la ricorda come di una delle date più significative e felici della sua vita. Perché era impossibile per chiunque sfuggire all'euforia che quell'undici luglio riempì le nostre piazze italiane da nord a sud, isole comprese, di folle di gente che festeggiava pacificamente, si abbracciava ed esultava, in uno dei pochi momenti di unità in quello che era (allora anche più di ora, visto che le contrapposizioni erano realmente tali) un Paese fortemente diviso e tormentato. Gli anni Ottanta, oggi rimpianti anche da chi non c'era, furono tutt'altro che belli, coi morti per strada, le stragi di mafia, quelle fasciste, le Brigate Rosse, Ustica e molto altro. E non è che era tutto bello perché eravamo giovani, niente affatto, anche se esserlo significa proprio che sai che può cambiare, che sarai più felice e ti lascerai alle spalle le cose peggiori, anche quando magari non è vero.
Il campionato mondiale del 1982 fu davvero un unicum e ben lo racconta, in 75 essenziali minuti, senza tralasciare nulla, il docufilm Il viaggio degli eroi, dividendo la storia di quell'indimenticabile momento sportivo e di unità sociale nelle undici, classiche tappe che la narrazione epica ci ha reso familiari, ovvero il percorso accidentato dell'eroe contro tutto e contro tutti, costretto ad affrontare ostacoli di ogni genere, mostri orribili e l'ostilità degli dei, fino ad arrivare al trionfo finale. Se state pensando a Ulisse, il regista Manlio Castagna, assai più moderno, aveva più in mente gli eroi del cinema e della letteratura contemporanea, e le animazioni a inizio di ogni capitolo si rivolgono forse proprio ad un pubblico sportivo giovane, che non c'era e non sa, cercando di portarlo all'interno di un'impresa davvero epica, senza – nonostante tutto – fare alcuna retorica ma raccontando semplicemente i fatti attraverso documenti e immagini d'epoca, la perfetta voce narrante di Marco Giallini che trasmette il giusto pathos alla vicenda e le testimonianze dei protagonisti, allora e oggi, o di persone a loro molto legate. In assenza dei veri eroi di quell'indimenticabile stagione calcistica, Paolo Rossi ed Enzo Bearzot, sono la moglie e la figlia a parlarne, arricchendo la loro figura umana di particolari inediti e commoventi.
Ecco, la commozione: se avete vissuto quei momenti, portatevi i fazzoletti, perché è inevitabile ritrovarsi con gli occhi lucidi nel riviverli e ripensare ai loro protagonisti, quelli che fortunatamente sono ancora con noi o quelli che purtroppo ci hanno lasciato. Nella storia di una squadra fortemente voluta dal solido, testardo e introverso friuliano Bearzot - figura paterna per i suoi ragazzi -, un uomo capace di portare sulle spalle il peso degli insulti di una stampa sportiva mai così vergognosa pur di creare il suo gruppo vincente, ma anche di dire “in fondo che vuoi che sia di fronte all'eternità”, c'è davvero tutto: la solidarietà che portò i giocatori a scegliere -iniziativa senza precedenti - il silenzio stampa, la rivincita e il riscatto di un campione ingiustamente condannato, il legame profondo tra 22 atleti che non avevano vizi e distrazioni, discoteche, auto di lusso, ville, modelle e veline, e nemmeno mogli e fidanzate al seguito. Uomini semplici, capaci di festeggiare con una sigaretta dopo partita, come ha raccontato l'altro friulano, il grandissimo Dino Zoff, con quell'altro irripetibile campione nello sport e nella vita che era Gaetano Scirea.
La squadra in cui nessuno credeva e di cui la stampa si prendeva gioco, chiamandola l'Armata Brancazot, dopo un inizio zoppicante fu capace di battere a pieno merito la fortissima Argentina di Maradona, Passarella, Tarantini e Ardiles, il favoritissimo Brasile di Socrates, Falcao e Zico, la Polonia di Boniek, fino all'apoteosi finale con la Germania di Muller, Rummenigge e Breitner. Fu un urlo liberatorio e comune quello che percorse il Paese, coi soliti pentiti che come al solito provarono a saltare sul carro del vincitore ma vennero messi alla porta senza tanti complimenti. In campo, con gli 11 di Bearzot, ci fu anche un dodicesimo straordinario “regista”, il presidente Sandro Pertini, che dette alla squadra un apporto fondamentale. L'impresa di questi ragazzi, non star, dalle vite normali, lavoratori coscienziosi certo non strapagati, che nella loro carriera cambiavano al massimo club due o tre volte, somiglia anche a una fiaba e non stupisce che perfino l'impassibile capitano Dino Zoff nella gioia del momento stesse per baciare la regina (vi immaginare che finale perfetto sarebbe stato per la storia?).
Era la terza coppa mondiale vinta dall'Italia, ma era anche la dimostrazione che lavorare insieme, fare gruppo e mettersi al servizio di una causa, con coscienza e fatica, era la carta vincente senza la quale nemmeno una squadra di fuoriclasse come quella avrebbe potuto farcela. Sono passati solo 40 anni tra quella partita e oggi, ma la società e lo sport sono cambiati vertiginosamente (per noi per molti versi in peggio, ma ognuno è libero di pensarla come vuole), tanto che un'epoca così vicina rischia di sembrare preistorica. Ben vengano dunque le occasioni per farla rivivere come veramente fu e non possiamo che complimentarci con tutto il team creativo coinvolto nella realizzazione de Il viaggio degli eroi, da coloro che fecero l'impresa a chi ha voluto questo documentario, per averci messo il cuore, come ce lo mise quella irripetibile squadra. Unica nota dissonante: alla storia mancano le dichiarazioni di due giocatori fondamentali come Marco Tardelli e Francesco "Ciccio" Graziani. Non ne conosciamo il motivo, ma dispiace davvero questa mancanza in un film che inneggia all'unione e al superamento delle difficoltà attraverso lo sforzo comune, un esempio che dovremmo replicare, come cittadini, oggi più che mai.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità