The Seed of the Sacred Fig: la recensione del film di Mohammad Rasoulof in concorso a Cannes

24 maggio 2024
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Una famiglia alle prese con un sfaldamento della quiete domestica, proprio mentre l'Iran sta vivendo le proteste della rivoluzione femminile contro il regime. Niente più metafore, Rasoulof regala un dramma dritto contro il cuore della dittatura. La recensione di Mauro Donzelli.

The Seed of the Sacred Fig: la recensione del film di Mohammad Rasoulof in concorso a Cannes

Ormai non ci sono più metafore, si va dritti contro il regime iraniano, a sostengo di una rivoluzione che nasce dalle donne e all’interno di ogni nucleo familiare, con la speranza che travolga la cieca dittatura patriarcale dei mullah. Difficile prescindere da quanto accaduto al di fuori del suo ultimo set e del grande schermo a Mohammad Rasoulof, fra i migliori autori iraniani, che dopo aver concluso il montaggio di The Seed of the Sacred Fig è fuggito dal paese per presentarlo in concorso al Festival di Cannes, dopo una condanna folle a otto anni di prigione, con tanto di frustate annesse. Perché è da anni, da una carriera, che Rasoulof è un artista sul filo della vendetta del regime per i suoi film, come il precedente, Il male non esiste, splendido racconto in quattro episodi sulla pena di morte in Iran, per cui gli venne vietato di lasciare il paese, e quindi di ritirare l’Orso d’oro vinto a Berlino nel 2020.

Ma prima di tutto, The Seed of the Sacred Fig, è un ottimo esempio di cinema fra dramma e paranoia, lungo quel crinale scosceso in cui facilmente piccole situazioni apparentemente marginali possono portare una famiglia a deragliare completamente, portando con sé una figura patriarcale che evidentemente rappresenta anche il sistema di potere dei mullah, paranoico e chiuso all’esterno, lontano da ogni esigenza e richiesta di un popolo giovane e vitale, sempre più stufo di accettare imposizioni che restringono la sfera di ogni libertà, privata e ancora più pubblica. Se il nucleo di prima organizzazione di ogni società è la famiglia, Rasoulof racconta di un padre, di una madre e moglie e delle tre giovani figlie, impegnate fra scuola superiore e università.

Un’apparente lieta notizia, da festeggiare, come la promozione del patriarca a un ruolo da inquirente nel sistema giuridico iraniano, anticamera della promozione a giudice, coincide con l’esplosione della rivoluzione Donna, vita, libertà. Occasione per rendere partecipi le figlie del suo lavoro, prima tenuto segreto, mentre le giovani vivono la tensione per strada e nella loro quotidianità, sempre meno disposte a seguire le regole della casa rigide e perfettamente allineate con il regime. Basta la sparizione della pistola del padre per scatenare una paranoia sempre più irragionevole, mentre la svolta di carriera - con casa e benefit economici inclusi - sembra a rischio. Il suo ruolo pubblico, di fatto solo da imbratta carte e boia pronto a mettere una firma su condanne già altrove decise, sembra incrinarsi in una piccola rivolta domestica, fino a una resa dei conti da thriller pieno di suspence, in un contesto suggestivo e antico come la storia della Persia.

Rasoulof fa ampio uso delle immagini prese dai social delle tante dimostrazioni di immenso coraggio di donne in tutto l’Iran, pronte ad accompagnare una presa di consapevolezza delle due ragazze, nel momento in cui i fatti non vengono più rilanciati a cena o dalle televisioni del regime, ma sono sotto i loro occhi. Si rendono conto che chi viene picchiata e arrestata è la gioventù comune, non trattandosi certo di facinorose criminali. The Seed of the Sacred Fig prosegue come un viaggio a spirale, generando una tensione da thriller di classe, mentre si stringe lo stomaco a vedere un coraggio nella ribellione in cerca di libertà che non rimane certo confinata sullo schermo, ma genera un corto circuito emotivo con quanto accade nel dramma della realtà. Non è forse il miglior film di Rasoulof, ma sicuramente è il più politico e coraggioso.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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