Il ritratto del Duca: recensione della commedia sociale di Roger Michell con Jim Broadbent e Helen Mirren vista a Venezia 77

04 settembre 2020
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Fuori concorso al Festival di Venezia 2020, The Duke è una scatenata e divertente commedia sociale ambientata nell'Inghilterra dei primi anni '60 con Jim Broadbent e Helen Mirren.

Il ritratto del Duca: recensione della commedia sociale di Roger Michell con Jim Broadbent e Helen Mirren vista a Venezia 77

Estremo nord dell’Inghilterra, con la Scozia a uno schioppo, terra proletaria di carbone e cantieri navali; la zona di Newcastle. Proprio lì nei primissimi anni ’60 si focalizzarono le attenzioni inattese dei media nazionali, anche di quella BBC a cui il protagonista di questa storia non voleva pagare quello che noi definiremmo il canone, perché aveva modificato la televisione per sintonizzarsi solo su ITV, la prima televisione commerciale britannica che si alimentava con la pubblicità. Perché la TV era fondamentale per passare il tempo, e gli indigenti e gli anziani avrebbero dovuto averla gratis, sosteneva chiamando in causa il giornale locale per sostenere la sua battaglia. Un piccolo ribelle a ogni livello, quindi, un sessantenne dal buffo nome di Kempton Bunton, probabilmente concepito in un ippodromo, come diceva lui stesso. 

Una storia vera, sia chiaro, come ci ricorda subito una scritta che apre la commedia di Roger Michell che ora ne racconta le gesta, dal titolo Il ritratto del Duca, con Jim Broadbent nei panni del dissacrante e irresistibile anarchico e Helen Mirren in quelli della moglie, lavoratrice seria che si vergognava, almeno all’inizio, delle gesta del marito. Quali sono queste azioni da prima pagina? Il furto del ritratto del Duca di Wellington dipinto da Goya dalla National Gallery, messo in atto con una certa semplicità e unico caso di furto, sia ben chiaro finora, nel celebre museo londinese. Scriveva sempre note, Kempton, e questa volta ne mandò di minacciose al governo chiedendo come riscatto, in cambio della riconsegna del nobile selfie ante litteram, più soldi investiti nell’aiuto agli anziani, a partire dalla sua crociata personale per una televisione gratuita in tutto e per tutto.

Inutile dire che divenne un Robin Hood cavalcato dai media e inneggiato dalla popolazione più semplice, che aveva bisogno di un sollievo anche illusorio o morale, in un momento di crisi del paese, in preda a una crisi di riconversione economica, nonostante le classi agiate ancora si sentissero imperiali e intoccabili, degne di essere ritratte dei dipinti dei grandi pittori dell’epoca. I fatti in realtà andarono in maniera più ingarbugliata di come si è creduto per 50 anni e di come ce li pone il film per buona parte della su durata, vi lasciamo volentieri il gusto di cogliere fino in fondo la verità, nient’altro che la verità. Anche se in questa commedia, che riecheggia per causticità ficcante quelle prodotte dagli Ealing Studios fra anni ’40 e ’50, non conta tanto la verità, o la realtà che si viveva in quegli anni. Si è trattato di sognare per un momento la vittoria dei poveri contro i ricchi, dei vulnerabili contro i potenti, con i parrucconi giudici delle corti di giustizia che rischiavano per una volta di prenderle seriamente dallo scapigliato Kempton e da una giuria popolare, facendo la “figura dei cretini”.

Poi tutto passa, si torna alla vita di tutti i giorni, alle miserie quotidiane di un lavoro che è sempre stabile, quando c'è o, come il caso del nostro Kempton Bunton e signora, di una figlia morta adolescente da piangere, vero movente delle gesta del capofamiglia, come emerge in alcuni momenti, i più intimi e toccanti, di questa scatenata commedia effimera eppure liberatoria.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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