Il passato è una terra straniera - la recensione
Daniele Vicari torna al cinema di fiction dopo l’interessante documentario Il mio paese. Il passato è una terra straniera è una storia di “discesa agli inferi” e di “riabilitazione” con due giovani e bravi protagonisti.
Il passato è una terra straniera - la recensione
Un giovane avvocato viene accostato da una ragazza mentre esce da un’aula di tribunale. Una ragazza proveniente dal suo passato, un passato oramai lontano, rimosso, estraneo che è appunto “una terra straniera”. E di fronte alla ragazza, l’avvocato parte per un viaggio down the memory lane. E noi con lui. Così si apre il nuovo film di Daniele Vicari, Il passato è una terra straniera, costruito come un lungo e (quasi) ininterrotto flashback di Elio Germano. Un flashback nel quale scopriamo che l’avvocato era un giovane figlio di una borghesia intellettuale ma un po’ opprimente, che per caso incontra un coetaneo affascinante e proletario che prima lo conduce con sé nel mondo del gioco d’azzardo clandestino, dove i due si guadagneranno abbondantemente da vivere barando, poi sempre oltre, verso quella dissennatezza e quella cattiveria che in un modo o nell’altro appartiene a tutti e due.
Con Il passato è una terra straniera Vicari dà segnali contrastanti riguardo l’evoluzione del suo cinema: visivamente il suo sguardo si fa sempre più attento e raffinato senza esser patinato o retorico, ma narrativamente il suo film (che pure parte bene con un racconto brillante e riuscito delle “imprese” al tavolo dei due ragazzi), dimostra d’ingolfarsi superata una certa andatura.
“Discesa agli inferi” è la definizione che più spesso si leggerà o si ascolterà del film di Vicari: e tanto la definizione è oramai stereotipata ai limiti della banalizzazione, così forse la storia raccontata da Il passato è una terra straniera risulta priva di qualità e caratteristiche tali da differenziarla nettamente da tante analoghe, da regalargli la capacità di dire qualcosa di più di cose tipo “se scivoli in basso poi cadi sempre più velocemente”. Ed è un po’ anacronistica e scontata l’idea di una classe proletaria che corrompe la borghesia repressa, seppur fungendo da ostetrica che semplicemente l’aiuta a portare alla luce il suo lato oscuro e represso.
Merito a Vicari di aver scovato il bravo Michele Riondino, mentre al comunque valido Elio Germano rivolgiamo un piccolo appello: così giovane e così capace, rifugga dalla maniera di sé stesso.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival