Il mio domani - la recensione del film di Marina Spada con Claudia Gerini

28 ottobre 2011
1.5 di 5

In Il mio domani Claudia Gerini è una donna sola, dal passato familiare difficile, che ha trovato o ha pensato di trovarenel lavoro un riscatto e un illusorio equilibrio

Il mio domani - la recensione del film di Marina Spada con Claudia Gerini

Marina Spada, esponente di punta del cosiddetto "nuovo cinema milanese”, ha qualche anno fa raccontato la vita della poetessa Antonia Pozzi nel documentario Poesia che mi guardi. Ora, ricollegandosi a quella letteratura in un'epigrafe finale, sceglie come protagonista de Il mio domani quella che lei stessa ha definito "una donna che vive oggi a Milano, una simile a molte altre che vivono nelle città del mondo e nella quale tante e tanti si possono rispecchiare".

Speriamo di no, verrebbe da dire.
Perché la Monica interpretata da Claudia Gerini è una donna sola, dal passato familiare difficile, che ha trovato (o ha pensato di trovare) nel lavoro un riscatto e un illusorio equilibrio. Una figura triste e grigia, che si aggrappa ad amori clandestini e senza futuro, senza amici, senza un vero dialogo con il vecchio padre.

Il mio domani scopre lentamente le sue carte, lasciando che il puzzle riguardante la vita passata e presente della sua protagonista si componga man mano che procede la narrazione: emblematico, in questo senso, che nei minuti iniziali del film la regista scelga volutamente di non inquadrare quasi mai il volto di Monica o persino la sua figura intera. Se la scelta non è di per sé errata o censurabile, diverso è il caso se si parla delle modalità che la supportano: la Spada eccede infatti nell'astrazione e soprattutto nella freddezza formale e narrativa con la quale vorrebbe trasmettere il senso di vuoto di Monica, risultando cinematograficamente frigida.
Anche i cementi, i vetri e gli acciai degli ambienti milanesi che il film racconta sono privi di fascino ed eleganza, amplificando il distacco emotivo che improvvisamente, però, la Spada vorrebbe negare quando la sua protagonista è chiamata all'immancabile svolta: alla riscoperta e all'accettazione delle origini, delle radici. Della terra e del passato fino a quel momento negati da panorami post-industriali e senza futuro.

Impietosa nell'aggrapparsi di continuo a una Claudia Gerini in affanno nel contesto di un film che non l'abbandona nemmeno per un istante (e che le mette in bocca battute indubbiamente difficili da rendere con efficacia), Marina Spada sembra aver mirato troppo in alto, partendo con un approccio che mette in campo questioni che sfiorano il filosofico e finendo con un semplicistico inno al recupero dei valori "di una volta" che fa riecheggiare nelle orecchie le note di "Voglio andare a vivere in campagna" e assai meno il raggiungimento di quell'identità consapevole che era nelle ambizioni della regista.

 



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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