Il mio amico Massimo, la recensione del docufilm che racconta il lato più intimo di Massimo Troisi
Sarà al cinema dal 15 al 21 dicembre Il mio amico Massimo, il primo dei previsti ricordi dedicati a Massimo Troisi, indimenticabile artista napoletano. La recensione di Daniela Catelli.
Il 19 febbraio 2023 Massimo Troisi avrebbe compiuto 70 anni. Nell'anniversario della sua scomparsa non mancheranno celebrazioni e omaggi, come e giusto e come non sono mai mancati negli anni passati: la sua voce, il suo lascito artistico, il suo gran cuore, così malandato che gli impedì di vivere a lungo ma a cui seppe mettere le ali, sono vivi nel ricordo di chi ha assistito ai suoi esordi e ai suoi successi televisivi e cinematografici, ma anche di chi lo ha scoperto in seguito. Figura emblematica della città e del Sud, al pari di Maradona, Totò ed Eduardo De Filippo, ha rappresentato Napoli in modo nuovo, maturo, mettendo alla berlina col suo micidiale senso dell'umorismo luoghi comuni e stereotipi. Dalla maschera di Pulcinella a Pulcinella senza maschera, ha dipinto un antieroe gentile che nella vita ha poche certezze se non quelle che l'amore è una cosa complicata e a volte è un calesse. Massimo Troisi ha vissuto 41 anni intensi e felici, donando se stesso al pubblico, agli amici e alle donne, perché sapeva di avere una data di scadenza ravvicinata.
In era pre-social, solo gli intimi erano a conoscenza delle operazioni in America (la prima a 23 anni), dell'improvviso peggioramento delle sue condizioni e della consapevolezza di voler girare Il postino “prima di”, come avvenne. Per questo il film diretto da/con Michael Radford, per cui dovette in alcune scene ricorrere all'uso di una controfigura, suscita ancora oggi tante emozioni e gli meritò la nomination postuma all'Oscar. Perché dai tempi dei gruppi da teatrino off (in parrocchia, per di più), dei Saraceni poi Smorfia, dai grandi successi tv alle prime regie, scoprimmo solo allora che Massimo Troisi con la consapevolezza della morte aveva vissuto senza mai parlarne, cercando solo di trarre il massimo (nomen omen) dai suoi anni sulla terra. A ricordarne la figura innanzitutto umana, arriva al cinema per una settimana il docufilm di Alessandro Bencivenga Il mio amico Massimo, che proprio sul tema dell'amicizia e della grande generosità dell'artista mette l'accento. Apre e chiude il film, quasi una guida spirituale, l'uomo che diventerà la sua controfigura sul set della sua ultima fatica terrena, Gerardo Ferrara, a cui Troisi dedicò un toccante ringraziamento, ma appaiono in filmati di repertorio e interviste realizzate appositamente famosi colleghi e amici, e anche Clarissa Burt, in rappresentanza delle donne bellissime che Troisi ha amato ma non ha saputo – è noto – ricambiare con la fedeltà. Perché quello che dice in una famosa intervista riproposta in questo lavoro, ovvero il desiderio di essere amato da tutte le donne, era davvero quello che voleva. La fedeltà era in genere riservata agli amici, perché era nell'amicizia che si impegnava di più.
Nel film di Bencivenga, che vuole mostrare il lato più intimo e umano di un artista che tutti noi che lo amiamo consideriamo amico pur non avendolo mai conosciuto, non si vedono gli spezzoni delle pellicole da lui dirette o interpretate, anche se ci sono preziosi dettagli dai set. Ma lui è presente quasi in ogni scena, oltre che nel racconto che ne fanno le voci narranti Lello Arena, amico di sempre, e Cloris Brosca, che con lui recitò in Ricomincio da tre. Ci sono i ricordi di Roberto Benigni, Carlo Verdone (che lo adorava, come tutti, nonostante il suo primo film avesse strabattuto al botteghino Bianco Rosso e Verdone), Renzo Arbore, Massimo Bonetti, Renato Scarpa, e molti dei suoi intimi e collaboratori. Per legarli insieme e costruire un ponte col passato, il regista decide – forse anche in mancanza di immagini dell'epoca - di far rappresentare l'infanzia di Troisi a San Giorgio a Cremano da un gruppo di ragazzini, un espediente che appare un po' artificioso e niente aggiunge al film.
Colpiscono molto di più alcune frasi e brani scelti in cui Troisi rivela se stesso (al solito con Pippo Baudo come intervistatore spalla), come quando si lancia in un'appassionata dichiarazione d'amore per Roma città aperta, vista in un cinema della cittadina, per poi sovvertire ogni aspettativa dicendo che, non appena uscito dalla visione, decise che nella vita voleva fare... il geometra. Perché la forza di questo straordinario personaggio, moderno come molti contemporanei non sanno esserlo, sta proprio nel rifiuto di ogni retorica, delle frasi fatte, della commozione facile. Massimo Troisi era un poeta, è vero, ma sempre con la battuta sulle labbra, pronto a prendere in giro la vita come la morte (indimenticabile in questo senso l'esorcistico Morto Troisi, Viva Troisi), modesto e gentile nella vita, feroce in modo elegante e divertente coi potenti, ma non alieno alle contraddizioni. Un pigro per carattere che ha fatto un sacco di cose. La sua è stata una vita speciale, ed è giusto ricordarlo, al cinema con i film e gli speciali che gli verranno dedicati, consapevoli che ognuno di questi sarà solo un tassello nel puzzle di una personalità tanto unica e complessa. Chissà cosa proverebbe lui, a vederci così commossi ogni volta che pensiamo a lui e a quello che avrebbe potuto ancora regalarci. Sicuramente sarebbe felice di vedere che siamo ancora, come voleva, innamorati di lui.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità