Out of the Furnace - recensione del film con Christian Bale
Durissimo sguardo sull'America rurale dal regista di Crazy Heart
Dopo aver vinto due Oscar con la sua opera prima Crazy Heart, Scott Cooper ha deciso di cambiare totalmente genere. Ha abbandonato le atmosfere del Sud degli Stati Uniti a ritmo di musica country per le acciaierie della Pennsylvania rurale che fanno da sfondo al suo Out of the Furnace. Intorno alla fornace del titolo ruota il cuore emotivo e visivo di questo film. Un nuovo capitolo di un percorso del regista alla scoperta dell’America profonda, di quella provincia in cui lo skyline è quello delle ciminiere delle fabbriche e l’aria si riempie dei vapori che ne fuoriescono.
Se ricordate Il cacciatore (e ci auguriamo fortemente di sì), capolavoro di Michael Cimino, in questo film troverete molte cose in comune. Un mondo di blue collar, noi diremmo di operai, divisi fra il duro lavoro di chi prende l’eredità in fabbrica dalle generazioni precedenti e chi, invece, non vede l’ora di scappare. Nei boschi si va a caccia di cervi e le case tutte uguali dei sobborghi non hanno nulla della perfetta monotonia di altre zone, semmai sono il manifesto disordinato di un America povera e ferita. La crisi qui arriva a ondate da decenni e anche l’acciaio presto converrà prenderlo in Cina e niente più fabbriche, niente più lavoro.
Siamo nella seconda metà degli anni zero in un paese in guerra: non più quella del Vietnam di De Niro e compagni, ma quella dell’Iraq in cui si va volontari, ma in fondo obbligati dalla mancanza di alternative. Nuova generazione di reduci che danno tutto per una guerra lontana, finendo emarginati nella guerra del reinserimento sociale.
Due fratelli vivono la loro vita. Uno, interpretato da Christian Bale, lavora in fabbrica come il padre e vuole una famiglia, l’altro, Casey Affleck, va e viene dall’Iraq, ma non riesce a superare un trauma che l’ha cambiato per sempre. Una lotta quotidiana per cercare un po’ di pace, un minimo di felicità. Out of the Fornace è un film cupissimo, che racconta di ferite che non si cicatrizzano, in cui si ibrida il dramma sociale sulla dignità del lavoro con il reducismo.
Film duro con tutto programmaticamente al punto giusto, come l’ennesimo motherfucker interpretato da Woody Harrelson, vera cartina da tornasole del film: perfido all'eccesso, personaggio statico in un film senza sbalzi. Cooper si avvale di attori di grande spessore, mette un po' di di Eddie Vedder qua e là, ma realizza un film che è già scritto dalla prima inquadratura, meccanicamente costruito per contorcere gli stomaci, dove le tragedie sono molteplici, ma senz’anima.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito