Il Critico - Crimini tra le righe, la recensione: un film sulla crisi di un mestiere, e sui disastri (per tutti) dell'ego
Ian McKellen giganteggia e si diverte un mondo, divertendo anche noi. Non un capolavoro ma un film elegante e curato, con qualche momento notevole. La recensione di Il Critico di Federico Gironi.
È un film in costume, racconta un’altra epoca (nello specifico, gli anni Trenta), ma in qualche modo, dato che oggi come oggi la memoria e il senso della storia non vanno più di moda può essere anche considerato un film di fantascienza. Un mondo in cui i giornali di carta contano qualcosa e hanno milioni di lettori? Fantascienza. Un mondo in cui i critici sono figure stimate, riverite, temute, in grado di cambiare il corso di carriere e intere vite? Fantascienza. Distopia, direbbe qualcuno, forse non troppo a torto.
Quello diretto da Anand Tucker, e la cosa è dichiarata fin dal titolo, è (anche) un film su una professione in crisi, su un ruolo oramai marginale nella società, e sulle reazioni che tanti che lo fanno, quel mestiere, hanno quando si rendono conto che, attorno a loro, o per colpa loro, è tutto finito.
Ian McKellen, che giganteggia e si diverte come un matto, e per noi che lo guardiamo è una goduria, è Jimmy Erskine, una sorta di versione debosciata di Anton Ego, un critico teatrale tanto temuto quanto estroso e amante della bella vita. La sua missione è esaltare il bello e demolire senza pietà, e con sarcasmo, tutto quello che giudica brutto, sbagliato o inutile. Per esempio, distrugge da dieci anni ogni interpretazione di Nina Land (Gemma Arterton), attrice di bell’aspetto ma non enorme talento. Poi ovviamente è proprio con Nina che stringe un patto faustiano per preservare il suo posto di lavoro, a rischio quando a capo del giornale arriva il figlio del vecchio e defunto proprietario. Che la goccia che fa traboccare il vaso sia un suo arresto, e l’accusa di omosessualità, nell’Inghilterra di allora qualcosa di punibile penalmente, è solo un discorso accessorio (ma ci sono anche dei rappresentati del movimento nazista inglese).
Dove porti quel patto, che conseguenze avrà, e dove va a parare Il critico in termini di trama non importante, oltre che non troppo commentabile per non rovinare la visione a qualcuno. Importa, come dicevo, il ritratto di un personaggio e di una professione, diviso tra una sorta di strana nostalgia da un lato, e da una cruda messa alla berlina di certe derive dall’altro.
L’Erskine di McKellen è una diva bizzosa e arrogante, ma anche uno che si scervella per trovare la parola giusta, l’aggettivazione esatta, che si adopera per la ricercatezza linguistica al fine di fare al meglio il suo dovere . E quando un redattore gli chiede per favore di cambiare un termine probabilmente troppo oscuro per i lettori (di allora, pensa quelli di oggi), risponde piccato e adorabile: “Dubito che i lettori sappiano leggere”. Se le sue critiche sono un po’ perfide e divertenti, è anche perché uno dei suoi “doveri solenni è quello di intrattenere il lettore”, ma anche perché cerca di tenere alti standard che vede abbassarsi drammaticamente giorno dopo giorno (e qui forse non parla solo del teatro).
“È lei che mi ha spinto a recitare, lei mi ha formato”, confessa la povera Nina Land a Jimmy, che è la cosa che ogni critico sogna di sentirsi dire, e infatti lì Erskine abbassa la guardia, si ammorbidisce, e le risponde la cosa che ogni artista criticato sogna di sentirsi dire: “C’è dell’arte in lei, e la mia disapprovazione riguarda il suo non riuscire a coglierla”.
Ma d’altronde, sempre per citare il protagonista, nessuno è un santo e tutti hanno dei segreti; e i suoi, che santo non è affatto, sono pure meno segreti di altri. Non è segreta la sua omosessualità, come non lo è sua presunzione, e forse perfino un’ambizione fuori misura. Perché attirata la povera Nina nel patto che distruggerà più di una vita, Jimmy, sempre più convinto della necessità di sacrificare gli altri per salvare sé stesso, sempre più illuso del suo ruolo (“stiamo formando il gusto estetico di generazioni”), arriverà a dire che i fascismi vanno e vengono, ma il teatro è eterno, che conta più della politica, della società, che è la vita stessa. Un po’ la convinzione sul cinema, che sia la vita stessa, che hanno alcuni che fanno il mio mestiere.
E però, non è solo un film sulla critica, Il critico, anche se spero scuserete questa lettura partigiana fatta finora. È un film che parla di tutti mestieri, di tutti gli uomini, delle illusioni del sé, dei disastri dell’ego. Perfino dell’avvento dei fascismi, in parte, se volete: anche quelli in fondo deviazioni dell'ego e illusioni diventate incubi. Un film curato nella scrittura, come nella regia (le interpretazioni nemmeno ci sarebbe il bisogno di sottolinearle: ma oltre a McKellen e Arterton ci sono anche Mark Strong, Romola Garai e tanti altri). Magari non eccelso, ma sicuramente elegante; che magari si perde un po’ frettolosamente nel finale ma che ha momenti notevoli. Ne cito uno, che si aggiunge ai passaggi riportati fino a questo momento: un confronto intimo tra Nina, terrorizzata la sera prima della prima di un nuovo spettacolo, e un Jimmy già amico ma non più mefistofelico cospiratore. Lì, in quel momento, alla luce calda di un caminetto, con un semplice campo e controcampo tra primissimi piani, Jimmy svela a Nina il segreto-non-segreto della recitazione. Ed è chiaro che sia McKellen che la silente Arterton quel segreto lo conoscono benissimo, e come Anand Tucker sappia come non rompere l'incanto.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival