Roter Himmel: la recensione del film di Christian Petzold con Paula Beer presentato in concorso a Berlino

23 febbraio 2023
2.5 di 5

Quattro persone in una casa a pochi metri dal mare tedesco in estate. Un'occasione per lavorare in tranquillità mentre degli incendi incombono portano aria di tragedia. La recensione di Mauro Donzelli di Roter Himmel in concorso al Festival di Berlino 2023.

Roter Himmel: la recensione del film di Christian Petzold con Paula Beer presentato in concorso a Berlino

Due amici in macchina nella campagna ascoltano musica e si prendono in giro. Fino a che un guasto li abbandona fra i boschi. Inizio tipico per un horror su una qualche casa infestata, o una commedia vagamente esistenziale su un ritiro fra relax e lavoro in tranquillità. Barrare la seconda, almeno nella prima metà del nuovo film di Christian Petzold, uno dei più apprezzati registi tedeschi della generazione (non più giovane) nata negli anni ’60, che ha iniziato a lavorare negli anni successivi alla riunificazione.

Presenza fissa nei festival internazionali, soprattutto alla Berlinale, ha ottenuto un certo seguito, critico e da parte di un pubblico più attento, con La scelta di Barbara e soprattutto con il più recente Undine - Un amore per sempre, con protagonisti Frank Rogowski, ormai di casa anche dalle parti del nostro cinema dopo Freaks Out e Lubo di Giorgio Diritti, e Paula Beer, lanciata a livello internazionale dalla magnifica interpretazione in Frantz di François Ozon.

Proprio lei, sempre capace di alternare fascino e malinconia, è l’unica donna che gli amici trovano quando arrivano nella casa di vacanza della madre di uno dei due, quello che inizia una relazione con un atletico bagnino, che diventa il quarto e ultimo occupante della magione con ampio giardino, a pochi passi dal Mar Baltico, in cui Roter Himmel, traducibile con Cielo rosso, si svolge. Il titolo internazionale, Afire, richiama la minaccia di violenti incendi, inizialmente lontana, eco di notizie raccolte distrattamente, e poi sempre più presente e, come da manuale, motore di un cambiamento radicale di tono nel racconto. Non più scanzonato diario di noia di uno scrittore in cerca di concentrazione mentre finisce di limare una versione del suo ultimo romanzo da sottoporre al suo editor, atteso a giorni, ma qualcosa di improvvisamente, e poco credibilmente, ben più definitivo. 

Lo scrittore è il perno di questa girandola di personaggi, che si relazionano fra amore e creatività, talento e altruismo. Peccato sia talmente vacuo e piccolo nel suo grugno narcisistico da non risultare poi così interessante o quantomeno, se anche strappa qualche sorriso proprio per queste sue grette caratteristiche, ben lontane dalla serenità leggera degli altri, la svolta così drammatica della seconda parte non sta in piedi. Senza svelare niente della trama, la solidità di sentimenti o i legami fra i personaggi è così momentanea e fragile da far crollare l’ambizioso edificio sulle cui fondamenta Pretzold intesse la sua trama “drammatica”.

Due registri che in questo modo risultano entrambi inefficaci, nonostante l’attenzione con cui il regista costruisce una quotidianità distratta, sulla carta lavorativa, ma sempre più foriera di sfociare in quell’atmosfera vacanziera in cui si ha la sensazione che il cuore stia per esplodere a ogni incontro e quelli che dovrebbero essere giorni di passaggio porteranno a modifiche irreversibili, una volta tornati in città. 



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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