I Pionieri: recensione del film di Luca Scivoletto

12 aprile 2023
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Ne I Pionieri, il regista Luca Scivoletto racconta un'età complessa come la preadolescenza, concentrandosi su una breve fuga dall'educazione comunista di un preadolescente che si chiama Enrico come Berlinguer. La recensione di Carola Proto.

I Pionieri: recensione del film di Luca Scivoletto

"Ci sono due comunisti, un fascista e un’americana" potrebbe essere una variante dell'inizio della classica barzelletta "ci sono un inglese, un francese e un italiano", ma se, nella classica barzelletta, a vincere, attraverso la furbizia e la proverbiale arte di arrangiarsi, è sempre l'italiano, nel primo caso non trionfa nessuno. Se però qualcuno o qualcosa deve per forza avere la meglio ne I Pionieri, allora si tratta dell'amicizia.

Enrico, Renato, Vittorio e Margherita stanno infatti scappando dall’educazione e dai principi che i loro genitori cercano di inculcare nelle loro piccole menti, facendo tabula rasa di qualsiasi altra ingerenza o suggestione. La fuga è motivata inoltre dall'età dei personaggi, che poi corrisponde al primo momento della vita nel quale i conti iniziano a non tornare, a prescindere dagli ormoni e dalle ragazze. Parliamo della preadolescenza, che normalmente fa scoppiare la bolla in cui galleggiamo fin da bambini.

Enrico, che prende il nome da Berlinguer, è affranto perché non ne può più del Partito Comunista, che per i suoi genitori è un nume tutelare nonostante stia cambiando, avviandosi verso l'abbandono del simbolo della falce e del martello. In nome del PCI, Enrico non può chiedere in regalo le Reebok né vedere la videocassetta di Rambo, in altre parole non può dedicarsi alle attività che rendono felici tutti i suoi coetanei. Il suo amico del cuore Renato è ancora più comunista, perché ha assorbito il sogno di un papà che non c'è più. Renato vuole ricreare il vecchio campo dei Pionieri, iconico gruppo scout comunista, ed è da qui che parte in realtà la vicenda, o il romanzo di formazione. Ed è nel nuovo campo dei Pionieri che, sotto la pioggia o davanti al fuoco, si accettano le differenze di pensiero, si giunge a dei compromessi e si tenta di far pace con la propria eredità ideologica, che pesa come lo zaino che i ragazzi portano sulle spalle. È necessario rinnegarla, se la si vuole rielaborare prendendo ciò che ha di buono. Si chiama anche uccisione del padre, e il padre, ne I Pionieri, è proprio Enrico Berlinguer, che per molti ancora rappresenta la fine della politica italiana.

Qualcuno ci ha detto, con un documentario, che quando c'era Berlinguer si stava meglio. Luca Scivoletto, che è figlio di genitori comunisti, probabilmente è d'accordo, ma preferisce l'ironia alla nostalgia. Pur sostenendo che l'educazione comunista impartiva lezioni importanti, insegnando per esempio a limitare il consumo smodato, il regista si diverte a metterne in luce le esagerazioni e le bizzarrie: dal vocabolario utilizzato perfino dai più piccoli ai "cantanti pallosi" che bisognava per forza ascoltare. Scivoletto si inventa anche un fantasma di Berlinguer, che Claudio Bigagli ha interpretato senza basarsi sulla mimesi. Certo, il suo segretario del PCI fuma come quello vero, gira con una pila di copie de L'Unità sottobraccio e parla con accento sardo come lui, ma è un po’ uno zio, oltre ad avere la funzione di amico immaginario. 

Ora, quando un bambino cresce, l'amico immaginario di solito scompare. Questo è più ingombrante, anche perché siamo in un paese dominato da una cultura democristiana e cattolica, e dove la parola dei genitori è legge. In un piccolo centro, tuttavia, esiste una trasversalità nei rapporti sociali che altrove è impossibile e che riesce ad annullare le barriere. Se poi queste dividono un pugno di ragazzi di 13 anni, anche la voglia di giocare fa la sua parte, insieme a qualche marachella e a regole inviolabili che da sempre caratterizzano il mondo dei bambini, in primis "i veri amici non scelgono le femmine". Una parte di Margherita, Vittorio, Renato ed Enrico, in fondo, è ancora legata all'infantile "facciamo che ero". L'altra fa timidamente capolino di tanto in tanto e porta a gesti impulsivi.

Se ne I Pionieri ne siamo testimoni, è perché Scivoletto riesce a captare gli sbalzi emozionali dei suoi attori. Li osserva e intercetta i segnali di disturbo, vede le crepe. Il suo approccio somiglia a quello di un documentarista, anche se, a ben guardare, l'asciuttezza e il rigore si alternano nel film a incursioni oniriche.

Ne I Pionieri i piccoli sono meglio dei grandi, che non fanno esattamente una bella figura, dal momento che rendono i propri figli dei nerd se non dei disadattati. Almeno, nel nostro caso, si tratta di nerd con una loro dignità, proprio come i protagonisti del magnifico Stand by me, che poi è una delle fonti di ispirazione del film. Renato, Margherita & Co. sanno bene che: "Un pioniere deve sempre mettere un piede davanti all'altro, anche se è buio, anche se non vede niente, anche se ha paura". Tutti e quattro sono a pieno titolo dei pionieri e, in fondo, ogni epoca ha i suoi pionieri: di solito hanno l'età dei 4 protagonisti del film, e nella magica alchimia tra incanto e intuito, nell'oscillazione continua fra voce adulta e cantilena da bimbi possono ancora prendersi il tempo di decidere che uomini diventare. Capita una sola volta nella vita: lasciamoli liberi di scegliere, fidandoci della loro saggezza..



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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